La mangiatoia del femminismo: la violenza di genere.

La violenza è dei CAV: “donne immerse in una campagna del terrore, una sensazione di paura che non rispecchia la realtà”… le “continue campagne istituzionali per seminare paura e incoraggiare a denunciare per qualsiasi cosagli ingenti fondi che vengono deviati per finanziare le associazioni“.

dei Santiago Gascó Altaba

Nella serata del 21 agosto 2022 una bambina di 13 anni denuncia un’aggressione sessuale a Vallodolid (Spagna) lungo la strada di ritorno a casa sua. Un uomo viene arrestato, secondo il protocollo, e resta 4 giorni in prigione, finché la polizia, dopo aver visionato le telecamere di sorveglianza, non rileva alcuna aggressione e rilascia l’uomo. A questo punto la bambina, sotto interrogatorio, dichiara la verità: aveva inventato tutto per paura di un rimprovero dei genitori per essere arrivata tardi a casa, in concreto un’ora più tardi. La domanda che dovremmo porci tutti, come società, è per quale motivo una bambina che decide di inventare una bugia per evitare una punizione, dovrebbe inventare un’aggressione sessuale invece di qualsiasi altra bugia più congeniale alla sua età. Cinquant’anni fa, quando non esisteva ancora il bombardamento mediatico attuale sulla “violenza di genere” e sul “patriarcato”, concetti allora sconosciuti, molto probabilmente una bambina si sarebbe inventata che aveva perso l’orologio, o che l’orologio si era rotto, che non aveva visto l’ora, che si era persa nelle strade di ritorno, che era caduta, che era stata trattenuta dalle amiche, che si era fermata a soccorrere un’amica ubbriaca o una vittima di un incidente di traffico o che non aveva trovato un passaggio, ecc. Dubito fortemente che avesse inventato un’aggressione sessuale. È indubbio che quella bambina e tutta la sua generazione siano pesantemente condizionate dalle continue campagne contro la violenza sulle donne, tanto da aver fatto diventare l’aggressione sessuale la prima scelta come pretesto da inventare nell’immaginario infantile. La violenza di genere è entrata con forza nell’immaginario sociale, di più in quello femminile, è diventata, soprattutto per le donne, un pensiero costante e la loro prima emergenza da risolvere nel mondo.

Nel 2020 un giudice ha decretato un ordine di allontanamento di 500 metri a J. di 92 anni nei confronti della sua compagna di 84 anni (maltrattamento psicologico). Si erano conosciuti 8 anni prima e lei era andata a vivere a casa di lui. L’uomo, denunciato da lei, è stato arrestato e portato in prigione, secondo il protocollo. Data la sua avanzata età, la Polizia ha deciso di infrangere il protocollo e di non farlo dormire in cella. Davanti al giudice l’uomo non capiva per quale motivo l’avevano arrestato e l’unica sua preoccupazione era di sapere come si sarebbe recato al supermercato a fare la spesa senza l’aiuto della sua compagna d’allora in poi. Infatti per poter camminare l’uomo si doveva sostenere sulla sua compagna. La donna ha espresso al giudice il desiderio di andare in una casa di riposo, malgrado il giudice le avesse offerto la possibilità di rimanere in casa, proprietà di lui, dove entrambi convivevano. Di nuovo, come società dovremmo cominciare a porci delle domande. Come è possibile che un anziano novantenne, che non è autonomo, sia portato in cella per la sola colpa di aver presumibilmente un brutto carattere (chissà, forse anche il carattere della donna ottantenne era simile)? Com’è possibile che esista un protocollo simile, e qualsiasi uomo rischi in automatico il carcere, al di là dell’età, sulla sola testimonianza di una donna? Com’è possibile che una donna possa così facilmente appropriarsi di una casa che non è sua, addirittura proprietà di un novantenne non autonomo, senza nemmeno essere sposati e con il quale convive da solo 8 anni? Com’è possibile che uno Stato occidentale possa violare così palesemente il diritto umano di qualsiasi uomo alla tutela della proprietà privata e si comporti in una maniera così spietata con i suoi anziani più indifesi e bisognosi di cure? E, per quanto riguarda la donna, perché ha deciso di sopportare per tutto questo tempo? Cosa le ha impedito di lasciare semplicemente l’uomo e partire prima verso la casa di riposo, come era il suo desiderio? Insomma, che necessità c’era di denunciare un uomo che a mala pena riusciva a camminare? Lei avrebbe potuto andare in qualsiasi momento senza alcuna denuncia. Quale condizionamento sociale spinge una donna ottantenne a denunciare violenza di genere, quando non c’è obiettivamente alcun bisogno?

Benefici e privilegi.

La costante campagna mediatica sulla violenza di genere produce degli effetti perniciosi sulla società, delle conseguenze diverse a seconda se si è maschio o femmina. La prima conseguenza è che le donne vengono immerse in una campagna del terrore, una sensazione di paura che non rispecchia la realtà. «Oggi una donna che decide unilateralmente di abbandonare una relazione di coppia è in una potenziale situazione di pericolo di vita», proclama Fabio Roia, presidente vicario del tribunale di Milano.«Era un uomo normale, […] la sua presenza mi terrorizzava. Non aveva fatto niente, e ovviamente non potevo denunciarlo. […] Gli uomini a volte hanno il potere di spaventarci, anche senza farci niente. Ci basta l’esperienza della memoria collettiva. […] Incutere paura è un atto volontario, un atto di potere», spiega la nota femminista intersezionale Beatriz Gimeno. Terrore. Gli uomini incutono terrore alle donne, anche senza fare niente. Continue campagne istituzionali per seminare paura e incoraggiare a denunciare per qualsiasi cosa, anche per la più insignificante (come vedremo nel prossimo intervento). Non stupisce dunque l’elevato numero di denunce, ma il fatto che ancora non siano stati denunciati tutti gli uomini. Il messaggio istituzionale subliminale è: “ancora non hai denunciato a tuo compagno o ex compagno? Come mai?”. Oggigiorno le donne percepiscono la compagnia di un uomo più pericolosa che la strada, malgrado gli incidenti mortali stradali siano annualmente oltre 30 volte più numerosi dei cosiddetti femminicidi. «Il 62% degli italiani dichiara di sentirsi al sicuro nella propria casa», malgrado gli incidenti domestici siano «ogni anno 4,5 milioni, di cui 8 mila mortali». Ma nell’immaginario femminile l’emergenza sociale è la violenza di genere. Percezione indotta, manipolazione sociale, lavaggio del cervello.

In questo terreno fertile nasce la mangiatoia del femminismo, inesauribili pretese di benefici e privilegi per tutte le donne travestiti da diritti e tutele. Tralasciando gli ingenti fondi che vengono deviati per finanziare le associazioni (femministe) che lottano contro la violenza di genere, molti sono i privilegi concessi alle donne, a tutte le donne, in quanto vittime. Fondi di solidarietà per il patrocinio legale alle donne vittime di violenza e maltrattamenti, servizi e polizia esclusiva a sostegno delle donne vittime di violenza, indennità alle lavoratrici vittime di violenza, posto di lavoro garantito per un anno alle donne vittime di violenza, riconoscimento della pensione di reversibilità alle ex mogli vittime di violenza, anche quando sono separate o divorziate e non era stato loro riconosciuto l’assegno di mantenimento (anche retroattivamente dopo 26 anni dalla separazione!), e così via. In linea teorica, tutte le donne possono, in maniera legale, impossessarsi di una dimora che non è loro, senza dover faticare una vita per acquistarla. In linea teorica, tutte le donne possono beneficiare di una corsia preferenziale nella ricerca di un lavoro sicuro, evitare la gavetta e le lunghe liste di attesa dell’ufficio di collocamento. In linea teorica, tutte le donne possono accedere a sovvenzioni, permessi di soggiorno, patrocinio legale gratuito e altre agevolazioni, in quanto vittime di violenza di genere.

La polizza anti-stupro.

Evidentemente questo rosario di benefici, disponibile per qualsiasi donna che si dichiara vittima di violenza di genere, provoca un effetto indesiderato, che secondo il femminismo non esiste: il fenomeno delle false denunce. Molte donne, per poter accedere a queste agevolazioni, diventano vittime. Oppure denunciano come ritorsione sui loro compagni sentimentali, per sottomettere loro alla propria volontà, coadiuvate dalla forza dello Stato. Uno studio del 2005 sulla violenza di genere in Spagna, a seguito dell’introduzione della controversa legge nel 2004, rivelava che il 20% delle vittime chiedeva la sospensione della pena dei loro compagni denunciati e condannati. Nel carcere di Valencia, 20 dei 22 reclusi per violenza di genere avevano sollecitato, con il consenso previo delle loro partner, incontri intimi. La Procura di Barcellona è così allarmata dal fenomeno delle ritrattazioni delle “vittime” che hanno chiesto di blindare la denuncia «per evitare che la vittima cambi di opinione durante il processo». In altre parole, l’importante non è la verità, ma che l’accusa contro l’uomo non venga messa in dubbio. Le continue campagne per promuovere le denunce, spesso senza conseguenze negative anche quando sono banali o false, dà vita a nuovi e curiosi fenomeni sociali, come il turismo della falsa denuncia di stupro. Nel 2020 tre ragazze americane in vacanza in Spagna denunciano falsamente di essere state stuprate. Avevano sottoscritto una polizza assicurativa in caso di stupro. Il successo del concetto di violenza di genere nella società genera per le donne effetti che sono perlopiù indolori o addirittura positivi, per gli uomini invece risultano catastrofici, come vedremo nel prossimo intervento.

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