La piccola Diana Pifferi è stata uccisa dal femminismo: “Il tuo clitoride è il tuo migliore amico”.

Questa donna è figlia del femminismo e della Rivoluzione femminista. Lei e anche le molte che ora le esprimono solidarietà…

Diana Pifferi è morta di stenti a 18 mesi, «abbandonata per sette lunghi giorni nel lettino da campeggio in casa», lasciata morire «di fame e di sete». Per la madre, 36 anni, la bambina «era un peso, volevo riprendermi la mia libertà». «Mentre Diana moriva, lei era dal compagno». Il padre invece non è mai stato informato di essere padre, «non saprebbe nemmeno di avere avuto una figlia».

Diana è orfana di padre vivente per volontà della madre. Madre single. «Non lavora da tre anni, dice di essere una psicologa infantile», «viveva raccontando “bugie“». «Non si impegnava neanche a trovare un lavoro per il suo sostentamento», si mantiene grazie ai soldi «dall’ex marito e con gli assegni famigliari». «Incontra di continuo uomini conosciuti su Tinder e Meetic, in cambio di regali, cene, vestiti», di «uomini conosciuti sui social» di cui «non si ricorda i nomi», «conduceva una vita libertina». «Si muove solo con l’autista (“lo prenotavo su Google”) come fosse una vip». «Indossava di giorno abiti lunghi con lustrini e paillettes», «diva, con le fotografie in posa, la settimana prima di abbandonare Diana fotografa la limousine che la va a prendere sotto casa». «La bimba ostacolava le relazioni con altri uomini», una figlia «vissuta come un peso, progressivamente rimossa, mese dopo mese, per riconquistare la libertà». «Diceva che preferiva stare senza di lei “così respirava”, abbracciare la “sensazione di essere libera, finalmente sollevata per un po’ dal peso di essere una ragazza madre”». «Racconta di aver interrotto da poco un rapporto “con un imprenditore che si era legato molto a me e alla bambina”. Perché? “Era malato di tumore. Non c’era futuro”». Libertà. Fin qui la notizia di cronaca nera.

Assenza di responsabilità, narcisismo, deliri di onnipotenza, totale mancanza di empatia e disumanizzazione dell’altro. Questa donna, che s’appella continuamente alla libertà, qualsiasi cosa questa voglia rappresentare nella sua testa, che vuole essere libera di ogni obbligo e responsabilità derivate dalle sue scelte, che interrompe una relazione con un imprenditore che amava lei e la bambina perché era malato di tumore, dunque bisognoso di cure e di conseguenza indegno di affetto, che è incapace di amare e di prendersi cura di chicchessia, bambino o adulto (imprenditore malato) non ha importanza, anaffettiva, che sfrutta il Welfare State (gli aiuti statali, gli assegni familiari, ecc.) e le tecnologie “patriarcali” (le app di dating) per coltivare la più esasperata dissolutezza, edonismo ed egocentrismo, che si è liberata da qualsiasi vincolo etico, da dove sorge? In quale società è cresciuta? Si tratta di un pattern sociale isolato, eccezionale, oppure di un pattern ampiamente diffuso in tutto il mondo occidentale? Questa donna, nata e cresciuta nell’occidente secolare dell’emancipazione femminile, è portatrice di una serie di valori nuovi, disinibiti, liberi da catene etiche ataviche e patriarcali. Questa donna è figlia del femminismo e della Rivoluzione femminista. Lei e anche le molte che ora, incredibile a dirsi, le esprimono solidarietà o le inviano lettere e regali in carcere.

Decostruire i valori tradizionali.

«Il tuo clitoride è il tuo migliore amico», proclama la portavoce presidenziale d’Argentina, Gabriela Cerruti, assieme all’organizzazione femminista La Revolución de las Viejas, in un momento nel quale il paese è immerso in una gravissima crisi economica, con molte famiglie che patiscono la fame. In Brasile erigono una scultura femminista, «un’enorme vulva rossa nel parco», alta 33 metri, realizzata in «protesta contro il sessismo e la misoginia» («ci sono volute la mani di oltre 40 uomini per modellarla»). In Spagna, la ministro per le Pari Opportunità, Irene Montero, lancia la campagna “sola e ubriaca, voglio tornare a casa”. E per la campagna estiva scrivono, rivolto alle donne: «Se la tua vita sessuale fosse un concerto, saremmo i tuoi più grandi fan. Sali sul palco senza paura. Siamo qui per applaudire». Quattro semplici esempi di tante altre politiche femministe che si materializzano ogni giorno nel mondo occidentale. Che valori trasmettono queste iniziative istituzionali alle donne? Riducono tutta l’etica alla libera sessualità, divinizzano gli organi sessuali femminili, promuovono l’edonismo (ubriaca), l’egocentrismo e l’isolamento (“sola” e “con il tuo migliore amico, la clitoride”), in maniera implicita dall’universo maschile.

La Rivoluzione femminista è la più influente e riuscita rivoluzione avvenuta nel mondo nell’ultimo secolo, per stessa ammissione del movimento femminista. Evidentemente, se è così, qualche responsabilità avrà per la diffusione di certi tragici fenomeni sociali che imperano nella società moderna occidentale. Non tutto è imputabile al femminismo, ma molto sì, nel bene, come ci ricordano ogni giorno, e nel male: denatalità, distruzione della famiglia, suicidi (e il suo surrogato l’eutanasia), aborti, farmaci e psicofarmaci, consumo di analgesici, problemi di insonnia, indebolimento del tessuto sociale, dei rapporti sociali e aumento di nuclei familiari di una singola persona, calo dei tassi di felicità (stranamente di più tra le donne), consumismo e cambio climatico… Il femminismo non consiste unicamente nella lotta per la conquista di una presunta parità di genere. La Rivoluzione femminista è anche una rivoluzione culturale, che si è prefissata l’obiettivo di trasformare il mondo. Il dogma assoluto del femminismo stabilisce che, prima dell’avvento del femminismo, le donne giacevano schiave e oppresse per mano degli uomini in un sistema denominato patriarcato. Un sistema atemporale e onnicomprensivo che bisognava distruggere, e che comprendeva anche il mondo psichico ed etico. Per poter abbattere il sistema bisognava dunque decostruire i valori che lo sorreggevano.

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