LIBERI / ROCCHETTA E CROCE / CALVI RISORTA. San Salvatore, San Michele: dal Monte Maggiore al Monte Caprario e Monte Cassino.

In alcune di queste grotte con l’arrivo dei Longobardi in Italia si va ad insediare il culto cristiano di San Michele, sull’esempio di San Michele Garganico (anche a Liberi, Camigliano e la stessa grotta di Sant’Arcangelo di Rocchetta e Croce).

di Pasquale De Stefano

Il monte Maggiore, con i suoi anfratti e grotte naturali disseminati in tutto il suo massiccio, ha fatto in modo che l’uomo avesse potuto frequentarle manifestando la sua religiosità sin dai tempi della preistoria, come grotta-santuario. Si tratta di culti antichissimi, praticati nelle grotte, dove lo stillicidio delle acque ricche di carbonato di calcio, ha formato, all’interno di queste, delle concrezioni stalagmitiche e stalattitiche che hanno alimentato la fantasia popolare e inciso sul fattore psicologico, che ha visto questi luoghi come una grande nutrice, la grande madre terra, che protegge e nutre i propri figli. L’efficacia di queste acque, basate sul principio della magia, spesso acquista il carattere di acque miracolose a beneficio dei vari malanni e propiziatrici di fertilità. In alcune di queste grotte con l’arrivo dei Longobardi in Italia, intorno al VII – VIII secolo si va ad insediare il culto cristiano di San Michele, sull’esempio di San Michele Garganico troviamo anche nel nostro massiccio alcuni culti vedi Liberi – Camigliano e la stessa grotta di Sant’Arcangelo di Rocchetta e Croce. La Grotta di San Michele Arcangelo, situata sotto uno sperone roccioso del Monte Caprario, all’ingresso rivolto a sud-est, questo un tempo era parzialmente chiuso da un muro in parte decorato con degli affreschi. Fino a pochi anni fa si rinvenivano frammenti di decorazione con elementi tecnici e stilistici simili alle grotte calene X – XI secolo. Successivamente prima del Mille, troviamo sulla sommità di questo sperone, la costruzione di un piccolo monastero benedettino detto San Salvatore. Probabile che i benedettini si insediassero nella zona ai tempi in cui il principe Longobardo di Spoleto nel 774 per allargare i confini del suo Principato attacca il Ducato di Benevento e quindi Monte Cassino; si narra che di notte i monaci in preda al panico sono costretti a scappare riuscendo a salvare la “Regola di San Benedetto” e trovano rifugio a Teano. Nell’863-884 i Saraceni mettono a ferro e fuoco il territorio campano, ivi comprese le città di Teano e Calvi profanando chiese e monasteri e’ probabile che in questo periodo troviamo nella zona tanta minuscoli monasteri benedettini. Il 1 ottobre 1071 anno dell’inaugurazione di Monte Cassino da parte dell’abate Desiderio, questi ricostruisce il monastero e richiama i monaci all’obbedienza della Regola, quindi ad abbandonare queste piccole comunità e ritirarsi a Monte Cassino. Nel 1089 il monastero di San Salvatore era una dipendenza dell’abazia di San Salvatore Telesino, l’abate di questo monastero Giovanni da Telese era stato discepolo di Sant’Anselmo D’Aosta. Dopo i contrasti sorti tra il re d’Inghilterra Guglielmo II e il Primate di Canterbory, Anselmo scelse la via dell’esilio e nell’ottobre del 1097 lasciò l’Inghilterra diretto a Roma. Nell’estate del 1098 fu ospite dell’amico abate Giovanni da Telese, essendo Anselmo avanti negli anni soffriva di calura estiva in pianura quindi passò l’estate a Sclavia (Liberi) presso il convento di San Salvatore, sia per raccoglimento che ispirava il luogo stesso e sia per la frescura. E’ qui che il primate di Canterbory concluse una delle sue opere più importanti “Il cur deus homo” (Perchè Dio si è fatto uomo). Questo evento è raccontato da Eadmero discepolo del santo che così descrive San Salvatore: “La nostra dimora era situata sulla sommità dei monti, libera dal tumulto delle folle, come se si fosse nel deserto”. Nel 1301 Bonifacio VIII affida il monastero di San Salvatore per le cose spirituali in “usus proprias” alla diocesi di Calvi, mentre per le cose temporali il casale di Croce apparteneva alla baronia di Formicola gestita dalla signora Roberta Carafa, duchessa di Maddaloni. Da un documento datato 3 luglio 1310 si sa che la chiesa di San Salvatore, era parte integrante di un minuscolo convento benedettino che aveva ospitato quattro monaci; due cappellani erano addetti al servizio religioso e due monaci alla parrocchia. Ancora con la stessa data abbiamo una istanza di Tommaso di Marzano, maresciallo del Regno e per disposizione di Clemente V, si decise di rimanere stabile l’unione del casale (Croce) alla mensa vescovile di Calvi di cui era vescovo Pietro III, mentre il suddetto Tommaso quale erede della fu Rogosia De Ragone, sua madre, presentava due cappellani per il servizio del monastero e casale (fonte Ricca “Santuario Caleno”). Dal Ricca si evince ancora che un canonico di Capua Federico Sparano, prese possesso del monastero di San Salvatore a nome del vescovo caleno. Nel 1583 dalla visita pastorale del vescovo di Calvi mons. Fabio Maranta si sa che in tale data il monastero era vuoto e la chiesa molto scomoda specie per i vecchi e le persone disabili e nei periodi invernali a causa della neve non si potevano celebrare i riti religiosi, per questo motivo lo stesso vescovo Maranta ordinò la costruzione di una chiesa nell’abitato di Croce che ultimata nel 1593 è dedicata alla santissima Annunziata. Nel 1593 da una relazione dello stesso vescovo di Calvi il monastero esiste come abazia benedettina sita in Croce. Nel 1883 il Penna (storico locale) ci descrive il Monte Maggiore come “una volta eravi un convento di monaci benedettini ora una cappella detta di San Salvatore, ove si sale per un sentiero serpeggiando dopo molto stento e fatica”. Ancora oggi la chiesa di San Salvatore è meta di pellegrinaggi e devozioneil primo e l’otto maggio da parte delle popolazioni site alle falde del massiccio del Monte Maggiore. Un tempo per l’antica mulattiera che portava a Croce, si partiva in processione il pomeriggio del giorno prima, si arrivava a san Salvatore alla sera, si pernottava nel sottotetto della chiesa creando delle divisioni tra scapoli e ammogliati (forse in una società rurale era anche un modo di fare nuove amicizie). Al mattino seguente si partecipava al rito religioso e dopo aver bivaccato, si riprendeva la via del ritorno portando quasi come un trofeo “la mazza di San Salvatore”. Trattasi di un bastone, sul quale vengono praticate delle incisioni a spirali con tagli orizzontali all’inizio e alla fine del bastone, parte della corteccia incisa, viene tolta e il bastone passato nel fuoco che annerisce la parte mancante, successivamente viene tolta la restante corteccia e il bastone diventa bianco e nero. Il bastone, con questi elementi serpeggianti e con questi anelli orizzontali derivanti ancora da riti pagani “Dionisiaci” sta a simboleggiare buon auspicio e fertilità per chi lo possiede.

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