Capracotta / Bojano. La capitale del tartufo si è spostata al Sud, in Molise e sul Matese.
In Italia lo scrigno più ricco di tartufo, particolarmente quello Bianco Pregiato, è il sorprendente piccolo Molise che da solo provvede al 50% della produzione nazionale.
di Pietro Fucile
Di domenica a casa mia, al ragù che “pippea” lento, in attesa di chi c’intinge il pane, e all’operoso lavorìo familiare delle piccole faccende, ha sempre fatto da sottofondo una tv accesa, più ascoltata che guardata, sintonizzata su quei programmi che raccontano i paesi della penisola, le loro tradizioni, gli eventi e, spessissimo, le particolarità dell’agroalimentare. Una finestra che spesso si apre su belle scoperte, che però a volte rischia di cristallizzare, nelle convinzioni della maggioranza, cliché non (più) veritieri, come ad esempio quello per cui il tartufo è solo piemontese o tuttalpiù di Norcia.
E così, a furia di comodi stereotipi, sono in pochi a sapere che in Italia lo scrigno più ricco di tartufo, particolarmente quello Bianco Pregiato, è il sorprendente piccolo Molise che da solo provvede al 50% della produzione nazionale. Un primato che racconta la qualità di un habitat ancora incontaminato e una densità di tartufai senza pari. Basti pensare che, in rapporto alla popolazione, i cavatori di tartufo molisani, da Capracotta a Bojano, sono il doppio di quelli umbri, e addirittura dieci volte superiori a quelli del Piemonte.
A raccontarla tutta però non è solo il Molise ad essere stato tenuto lontano dai riflettori. Con l’Unità d’Italia, le ragioni del vincitore, hanno mirato a sminuire valori, riferimenti e virtù dei popoli dell’ex Regno delle Due Sicilie, così che nella dimenticanza è finita anche la vocazione tartufigena propria di tutto l’appennino meridionale.
Una vocazione che riverberava nella sua varietà alla tavola dei Borbone, principalmente durante il Regno di Ferdinando I, ove particolare predilezione era accordata al Nero di Bagnoli Irpino, un tartufo unico all’olfatto e capace di conservare inalterato, anche dopo cotture particolarmente lunghe, il suo ottimo sapore.
Non mancava a quelle tavole neanche un’altra vera e propria eccellenza campana rappresentata dal Tartufo del Matese al quale da qualche anno, grazie al lavoro di valorizzazione condotto da studiosi e appassionati, principalmente dell’Associazione Micologica del Matese, è stato restituito un valore di rilevanza nazionale, con l’ingresso di una ventina di paesi a cavallo delle provincie di Caserta e Benevento, nel circuito delle “Città del Tartufo”.
È la riscoperta di un prodotto ricco di contenuti immateriali che ne aumentano le potenzialità commerciali. Un riannodare di fili spezzati con la cultura gastronomica popolare del Mezzogiorno che, divenendo Borbonica, a partire dal Settecento, assieme a quella francese, influenzò fortemente il gusto della cucina europea.