Cara Ferragni, il tuo monologo è stato solo una celebrazione dell’ego.

E poi ci sono le solite “femministe” che la osannano: “qualche categoria di donne che hai tagliato fuori dal tuo monologo, quelle che non possono scegliere di essere solo madri, che scelgono di perdonare un tradimento, che utilizzano la carta di credito del marito senza sentirsi sminuite”.

di Federica Di Vito

Ciao Chiara, il fatto che tu abbia lo stesso nome di mia figlia mi spinge a utilizzare con te un linguaggio colloquiale, ecco perché vorrei scriverti una lettera. Da donna a donna, da mamma a mamma, da lavoratrice a lavoratrice.

Ho ascoltato il tuo monologo della prima serata del Festival di Sanremo. Sai, non faccio parte delle milioni di persone che ti chiederebbero un selfie o che seguono ogni tua mossa con acclamazione o disprezzo. Per questo non rientro neanche tra le persone a cui non piaci. Semplicemente guardo, ascolto, osservo. E l’ho percepita l’insicurezza guardando nei tuoi occhi. Quella che ti ha fatto dire che avresti voluto con tutto il cuore qualcuno che ti dicesse «sei abbastanza», «vali». Concordo con te: «Siamo scatole che contengono meraviglia e vanno aperte con cura».

Hai trovato qualcuno che ti abbia fatta sentire una meraviglia, davvero? Ti svelo anche io un segreto, scrivendoti un versetto della Bibbia che forse non conosci. «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi», non trovi anche te qualche assonanza? Quel vaso di creta è molto simile alla scatola con su scritto “fragile” di cui hai parlato ieri sera, all’Ariston. C’è però una grande differenza e vorrei parlartene.

L’articolo completo su Il timone

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