Il mio ’68 All’Università di Napoli e il ‘78 a Padova
La stanza aveva tre letti e la locatrice era una donna anziana di Cimitile (NA). Gli altri 2 in camera erano Luigi di Sessa Aurunca e Pasquale di Sepicciano, frazione di Piedimonte d’Alife.
di Giuseppe Pace (ex studente delle università di Napoli e Padova).
Dopo 50 anni sono un po’ sfumati, ma ancora vivi i ricordi del mio (ma anche vostro)‘68 napoletano. Ero al primo anno d’Università, nella sede centrale, di via Mezzo Cannone e con pensione in vicolo Paradiso vicino al terminale cittadino della Cumana. Pagavo 7 mila lire al mese, per dormire, circa la metà di camere più vicine alla sede di studio. La stanza aveva tre letti e la locatrice era una donna anziana di Cimitile (NA). Gli altri 2 in camera erano Luigi di Sessa Aurunca e Pasquale di Sepicciano, frazione di Piedimonte d’Alife. Vicino a vicolo Paradiso c’era il popolare quartiere di Montesanto con la fermata della metropolitana e con mio buon amico, che mi ha cercato a Padova dopo 35 anni, Filippo Barbieri, di Belvedere Marittimo (CS) con il quale mantengo ancora contatti digitali. Alla mensa universitaria pagavo 300 lire al pasto, le tasse quell’anno furono di 23.700 d’immatricolazione più 21.000 in tre rate. L’anno successivo conquistai il presalario di 500.000 lire annui ed esentasse. In quell’autunno caldo del ‘68 all’Università di Napoli, si scioperava e c’era anche chi incendiava dall’esterno uno dei portoni laterali (quello più vicino al rettifilo o Corso Umberto) dell’Università in via Mezzo Cannone. La goliardia ancora faceva “vittime” tra noi matricole con scherzi non sempre forieri di festa e spesso a sfondo quasi di ”ordine di beccata delle galline livornesi”, classico di etologia per spiegare il capo chi è, cioè non più matricola. Nelle Università più piccole come Padova la goliardia sussiste ancora e, a mio avviso, potrebbe denotare solo provincialismo: fuori tempo massimo. L’Università di Napoli del’68, con oltre 150 mila iscritti (molti provenivano dalla Calabria e Molise, senza sedi universitarie), era in fermento come lo era la società italiana del famoso ’68. Eravamo in pieno boom o miracolo economico italiano. Della mia classe, V Itis di Piedimonte d’Alife, un terzo circa si iscrisse all’Università di Napoli, ma fui l’unico a terminare gli studi universitari. Gli altri, che si iscrissero della classe V dell’Itis, erano 2 di Piedimonte (Gaetani e Pagliarulo), 1 di Castello d’Alife (Zappulo), 3 di Alife (M. Amato, M. Sansone e V. Di Franco, fratello di Lucio il Dentista attuale) e 1 di Gioia S. (D’Aloia). L’anno precedente, invece, in 4 terminarono poi l’Università di Napoli: Pescatore in Matematica, Mezzullo in Scienze Naturali, Scotti e Fazzone in Ingegneria. Tranne 3 tutti i miei compagni della classe V Itis piedimontese, hanno fatto poi i docenti come periti industriali, adesso sono tutti in quiescenza. La cittadina di Piedimonte d’Alife- da cui provenivo con il treno “Alifana”, che non fermava più a Piazza Carlo III ma alla stazione centrale di Piazza Garibaldi, dov’è ancora- era una cittadina più ricca di oggi di occasioni lavorative con uno storico cotonificio,non più gestito dagli svizzeri, una grande centrale elettrica, una piccola cartiera e molti uffici pubblici e scuole con 5 mila studenti dei circa 20 comuni dell’Alto Sannio. A Letino, invece, paesetto di nascita e prima formazione fino a 14 anni, l’emigrazione era in pieno svolgimento e ha determinato il dimezzamento della popolazione, ma ciò è un fenomeno comune a quasi tutti i paesetti montani appenninici ed alpini. A Napoli allora era Sindaco Giovanni Principe con lauree in Filosofia e in Giurisprudenza, democristiano doroteo che faceva riferimento ad A. Gava. Principe, il Sindaco, guidò tre giunte, in rapida successione, che comprendevano assessori democristiani, socialisti, psd ed ex laurini monarchici con anche un comunista. Durante le sue giunte furono varate importanti opere pubbliche come la tangenziale e i piani per il secondo policlinico, Ponticelli, la variante di Capodichino e il centro direzionale. Napoli era una città internazionale, che mi ha sprovincializzato non poco. Ricordo ad esempio, che a fine settimana, non rientravo, come gli altri studenti, a Piedimonte d’Alife e dintorni perché mi piaceva vivere a Napoli metropoli, e, andavo volentieri, a sentire e vedere Eduardo De Filippo al suo teatro di via Foria come una sua opera “Il Monumento”. Napoli era allora sia bellissima che problematica (oggi sarà ancora tale? Ci vado sempre meno), ma bisogna precisare che solo pochissimi, forse uno su cento, dei suoi residenti frequentava la sua Università e rarissimi erano i figli del popolo dei vicoli e dei quartieri popolari di Forcella, Pignasecca, ecc.. erano solo i figli della borghesia napoletana del Vomero, ecc.. che si iscrivevano all’Università come anche molti professori di ruolo erano dei “quartieri alti”. Nulla di nuovo poiché all’Università fino a qualche secolo fa si iscrivevano solo i nobili nobili erano i docenti, anche se iniziavano le eccezioni già prima della rivoluzione francese e industriale, ma erano spesso sacrati come G. Bruno. Nel ’68 noi iscritti al corso di laurea in Scienze Naturali avevamo una rivendicazione seria da portare a compimento, ma rimasta ancora sospesa tra le pieghe del pressappochismo italiano e dell’apparato burocratico dominante la soluzione dei problemi seri. Avevamo costituito una delegazione di 8 studenti, 2 per anno di corso, che andasse a trattare con il Preside e con il Rettore per chiedere un punteggio preferenziale per insegnare. Io ne facevo parte insieme a Melinda Poto di Lioni (AV). Che rivendicavamo? Partivamo dalla constatazione di fatto che gli insegnamenti di “Matematica e osservazioni scientifiche” alle scuole medie “inferiori” e “Scienze naturali, chimica e geografia” alle medie superiori potessero essere svolti meglio da noi Naturalisti che non da altri come Biologi, Geologi, ecc. e pertanto ritenevamo utile un punteggio iniziale maggiorato. La motivazione resta valida ancora oggi poiché un Matematico sa tutto di matematica ma nulla di scienze naturali (non frequentadone i corsi né sostenendone i relativi esami, forse con i piani di studio individuali qualcosa è cambiato). Ricordo che, anni dopo, un Matematico e prof. delle scuole medie di I grado mi ha riferito, confidenzialmente, che ad uno studente che gli chiedeva se era vero o meno che c’erano vermi lunghi 10 metri, rispose, erroneamente, di no. Invece, la nostra battaglia “sindacaleggiante” del’68, sia pure condivisa dal Matematico, prof. Carlo Ciliberto, Preside della Facoltà di Scienze MM.FF.NN. (Scienze Matematiche, Fisiche, Chimiche e Naturali e forse dal Giurista Rettore, G. Tesauro), non trovò sbocco. Ancora oggi continuano ad insegnare i matematici le scienze naturali e la chimica senza mai avere sostenuto esami in merito. Similmente per insegnare nelle medie di II grado da parte di un Biologo le discipline anche geologiche che non conosce affatto, dunque circa metà del sapere specialistico. Similmente al Biologo è il Geologo, che può sapere tutto di Geologia, ma non di Biologia ed affini. Il Naturalista, invece, conosce entrambi i domini specialistici ed è più adatto a insegnarli. Attualmente anche i Chimici possono insegnare e un po’ come i Matematici non sono adatti ad insegnare Scienze naturali poichè ignari di altri domini culturali-geologici e biologici- specifici. Dei 35 chimici abilitati, me presidente di commissione, solo un paio hanno deciso poi di insegnare la classe concorsuale di Scienze naturali per le secondarie. Ciò significa che è la serietà del cittadino Chimico che primeggia sul Legislatore italiano pressappochista? Ma non ci meravigliamo poi quando l’Ocse ed altri organismi sovranazionali scrivono che la scuola italiana non è ancora oggi la migliore del mondo, anzi è spesso in fondo a graduatorie internazionali, università compresa e quella di Napoli è alla pari di quella di Bucarest, mentre prima, di molti punti, vengono le università di Milano, Pisa, Roma e Padova. A Napoli il ’68 forse fu meno contestatario di Milano, Torino, Roma, mentre a Padova, 10 anni dopo, la contestazione studentesca era alta con arresto di personaggi della “Sinistra estrema” di spicco come Toni Negri, nonché indagini sulla Destra della famosa “Rosa dei Venti”, ecc. Era Sindaco di Padova nel ‘78 Luigi Merlin, Avvocato e presidente della Fiera Campionaria di Padova, gli è stata intitolata una piazza padovana. Ma prima e dopo di Merlin fu Sindaco Ettore Bentsk, che aveva già interrotto la lunga amministrazione democratica cristiana di Cesare Crescente pure avvocato come Merlin. Bentsk, dopo aver conseguito la maturità studia e si laurea all’Università di Padova ottenendo la cattedra di Meccanica Razionale presso l’ateneo patavino, ma nel 1998, a soli 66 anni, muore e in sua memoria gli sono stati intitolati una sala del Comune, un Istituto di formazione Professionale e una via nella città di Padova. Egli nel 1994 è stato ammesso all’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti. Ha ricoperto anche l’incarico di vicepresidente della Società per le Autostrade di Padova-Venezia e Consigliere nella Società autostradale Padova-Brescia nonché presidente della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Padova è città colta, dinamica e culla delle scienze e delle arti con Giotto, Donatello, Mantegna, Guariento (che ha disegnato gli angeli armati ed inquadrati militarmente), ecc.. Nel corso dei secoli, l’Università di Padova, unica della Serenissima, dopo il 1405 quando la città dai Signori Carraresi passa ai Dogi veneziani, è diventata una delle principali Università italiane, e conta attualmente 13 Facoltà, oltre 60.000 studenti e 5.000 tra docenti e personale tecnico-amministrativo. All’Università di Padova frequentai 2 corsi di perfezionamento e ne respirai il clima universitario diverso e più provinciale di Napoli, ma anche con servizi agli studenti migliori. In una delle sue aule tenni anche una relazione sull’Idrovia Padova-Venezia da Segretario Generale Società Naturalisti “U. D’Ancona” di Padova. Tra i proff. conosciuti All’Unv. di Padova nel ’78, ricordo Acquaviva di Sociologia, Minelli di Zoologia, Lorenzoni di Botanica, Paccagnella di Igiene. A Padova nel ’78 vi erano scioperi “violenti” nelle scuole medie superiori, e, nei cortei, si gridava ”compagni in libertà o bruciamo la città”, si riferivano agli arrestati del ’77 decisi dal Magistrato, Calogero. Quell’anno insegnavo a Venezia, più tranquilla di Mestre ricca di operaia e “più sessantottina, ancora oggi”! Tra i proff. di Napoli del ’68 ricordo: De Lerma di Zoologia, Caputo di Botanica, Moncharmont di Geografia, Scherillo di Mineralogia, Mezzogiorno di Anatomia umana, Bernini di Fisica, Brancaccio di Geografia fisica, Scandone di Geologia e Casertano di Vulcanologia con il quale scelsi poi di fare la tesi. Il Prof. Lorenzo Casertano scriveva la pagina scientifica del Corriere della Sera ed era bravissimo ad insegnare forse ispirato dall’esempio didattico sperimentale del vicino e famoso Vesuvio. L’Università di Napoli ”Federico II”, è nota per essere la più antica università fondata nel 1224 attraverso un provvedimento statale, pertanto è ritenuta la più antica università laica e statale del mondo. Padova, invece, dopo Bologna ha primati eccellenti di antichità, di prima donna laureata al mondo e tra le altre cattedre quella di Galileo Galilei, 1592-1610. Negli anni universitari napoletani ho conosciuto bene il suo centro storico, che poi nel 1995 è stato riconosciuto dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità, per i suoi eccezionali monumenti, che testimoniano la successione di culture del Mediterraneo e dell’Europa. Nel 1997 l’apparato vulcanico Somma-Vesuvio è stato eletto dalla stessa agenzia internazionale (con il vicino Miglio d’Oro, in cui ricadono anche i quartieri orientali della città) tra le riserve mondiali della biosfera. Allora, Napoli registrava oltre 1,2 milioni di residenti, calati ora del 20% circa. Padova, invece, pur essendo un quinto di Napoli nel 1978 registrava 230 mila residenti calati ora di un 10% e con oltre 30 mila stranieri. La città ha 60 mila studenti universitari quasi uno su tre cittadini. Padova è nota per essere la città dei 4 “senza” 1)”Santo senza nome”, perché Sant’Antonio, di cui è tradizionalmente popolare la devozione, è comunemente chiamato “il Santo” per antonomasia, con speciale riferimento alla venerata Basilica omonima con il vicino Orto Botanico universitario più antico del mondo; 2)”Caffè senza porte”, perché il monumentale Caffè Pedrocchi, storico locale cittadino, sino al 1916, era aperto 24 ore al giorno e con la sala verde riservata ai poveri e agli studenti universitari notoriamente squattrinati che qua potevano anche riscaldarsi al focolare sempre acceso; 3)”Prato senza erba”, perché il Prato della Valle, spettacolare “piazza”, la più grande d’Europa secondo alcuni, era in realtà fino alla fine del 1700, periodo in cui assunse la sistemazione attuale grazie ad Andrea Memmo, una superficie paludosa dove si svolgeva la famosa “Fiera del Santo”, le corse dei cavalli e trasformata in Fiera Campionaria nel 1919. 4) “Capitello senza colonna”, perché presso l’angolo nord-ovest del Palazzo della Ragione, detto il “Salone” dai Padovani o Patavini. Padova, l’ho trovata, dal 1976 che l’ho adottata forse fino alla fine del tempo che mi è concesso, una città ricca di manifestazioni culturali con un ceto popolare diverso da quello napoletano che meno numeroso frequentava la sua più grande università, che a Padova, invece, come scrive anche l’indigeno, Diego Valeri, e quasi familiare. A Padova non ci si annoia culturalmente, anche se a volte pare che a certe manifestazioni ci sia, sotto sotto, il sogno sessantottino come la Fiera delle Parole, voluta soprattutto dal popolo di neosinistra (che applaude il Sindaco di Riace per aver trasgredito la Legge) 12° edizione (con 70 mila presenze, 250 conferenze e concerti e 450 relatori) del festival letterario che per 5 giorni ha fatto di Padova la capitale della cultura grazie ai numerosi incontri con i nomi “più importanti”(ovviamente della sinistra di pensiero, che domina la cultura italiana dal ‘68 in poi) della letteratura, del cinema, della musica, dell’arte e del giornalismo, italiani e stranieri. Ma il ’68 che anno è stato davvero? Il movimento del Sessantotto è il fenomeno socio-culturale avvenuto negli anni a cavallo del 1968, nei quali grandi movimenti di massa socialmente eterogenei (operai in primis, studenti di conseguenza), formatisi spesso per quasi aggregazione spontanea, interessarono molti Paesi del mondo con la loro forte carica di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Lo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente ristretto contribuì a identificare il movimento col nome dell’anno in cui esso si manifestò in modo più attivo soprattutto in Francia. Il Sessantotto si caratterizzò con una sorta di esplosione sociale, spesso confusa e festosa: il maggio ’68 apparve come un momento di illusione rivoluzionaria nella utopistica possibilità di una trasformazione radicale della vita e del mondo. Un riflesso di questo clima fu la proliferazione di graffiti e slogan fantasiosi: «Sous les pavés, la plage» (Sotto i sampietrini c’è la spiaggia), «Il est interdit d’interdire» (Vietato vietare), «Jouissez sans entraves» (Godetevela senza freni), «Cours camarade, le vieux monde est derrière toi» (Corri compagno, il vecchio mondo ti sta dietro), «La vie est ailleurs» (La vita è altrove), e così via. La discussione sul maggio ’68 ha suscitato fin dal suo nascere molte controversie e interpretazioni divergenti, sia relativamente alle sue cause che agli effetti. È tuttavia indiscutibile che esso abbia aperto la strada alle nuove forme di contestazione e mobilitazione degli anni ’70 (autogestione, ecologia politica, movimenti femministi, decentramento, «ritorno alla terra» e risveglio delle culture periferiche, eccetera) e che, pur non avendo avuto sbocchi politici in senso stretto, gli eventi di quel periodo ebbero un notevole impatto sul piano sociale e soprattutto culturale, e restano alla base di molte conquiste e riforme sociali degli anni successivi, non solo in Francia ma anche a Napoli e soprattutto a Padova. Il Sessantotto è stato dunque un movimento sociale e politico che ha profondamente diviso l’opinione pubblica e i critici, tra chi sostiene sia stato uno straordinario momento di crescita civile verso un mondo “utopicamente” migliore e chi sostiene invece sia stato il trionfo di una stupidità generalizzata, che rovinò la società italiana, e di un conformismo di massa in cui i figli stessi della borghesia avrebbero voluto abbattere il sistema borghese.. Per me il ’68 è stato un periodo storico di transizione tra una precedente società italiana contadina ed una industriale al Nord e di riflesso (e soprattutto di consumo di merci prodotte al Nord) al Sud con il rigetto da parte dei giovani dei valori padronali ed aristocratici, ereditati dal passato. Si, ci sono state esagerazioni ed incomprensioni, ma molti giovani erano vitali e critici verso ciò che non andava, a parte i filosofi di certa Sinistra- la stragrande maggioranza forse filosovietica e per una riedizioni italiana della rivoluzione d’ottobre- che hanno ideologizzato e spinto i giovani, più distratti, verso l’utopia del tutti uguali e del dominio della classe operaia, che non è andata ancora in Paradiso! Alcuni non si sono ancora accorti dei suggerimenti dati dal DNA e dalla diffusa biodiversità che ci fa tutti poco uguali e piuttosto differenti, ma la legge stessa dice che siamo tutti uguali rispetto ad essa, credo per necessità d’ordine sociale. A Padova per molti secoli nel centralissimo Palazzo di Giustizia o della Ragione, costruito nel 1200, i Magistrati giudicavano l’accusato anche tenendo conto del segno zodiacale del malcapitato, come le pareti affrescate furono ispirate dall’oroscopo di Pietro d’Abano, prof. universitario, giudicato eretico dal braccio secolare della Chiesa perché fu il primo a dire che la malattia non era solo una punizione divina, ma era causata anche dall’influenza degli astri. Siamo nel XIV sec. Quante strade nuove hanno aperte le università per il divenire culturale dell’Homo sapiens di ieri e di oggi. E quanta strada democratica hanno fatto i cittadini per vincere l’omertà e le paure, grazie al pieno adempimento dell’articolo 21 della Costituzione Italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Nei Paesi ad economia attardata, purtroppo, ancora oggi, il Principe può far squartare un suo connazionale, addirittura in un suo Consolato estero, ma i Paesi ad economia avanzata prendono le distanze anche se amici strategici.