PIANA DI MONTEVERNA. Il parroco del paese, Don Giulio Farina, pubblica le sue poesie: sono state scritte negli ultimi 50 anni, dal 1964 al 2013.
Le liriche hanno una forma libera, tasselli dell’animo al confronto con l’immensità del creato che le rende immediatamente percepibili, lineari,rappresentano l’istantanea di una fotografia che coglie un attimo.
Il parroco di Piana di Monte Verna, Don Giulio Farina ha deciso di pubblicare, dopo molti travagli, le poesie scritte in un arco di tempo molto lungo dal 1964 al 2013 con l’auspicio di andare tra la gente e di piacere a qualcuno. Le liriche hanno una forma del tutto libera e sono tasselli dell’animo al confronto con l’immensità del creato che le rende immediatamente percepibili , lineari,rappresentano l’istantanea di una fotografia che coglie un attimo ,un momento, una sensazione ed il lento fluire di una vita al cospetto della natura ,del ruscello, della campagna di sera. L’animo del prelato viene messo a nudo dalla penna ed esce fuori una persona nuova, un ripiegarsi sui sentimenti nobili di una vita spesa per il prossimo nella campagna di Piana di Monte Verna, paese che vide passare Annibale che proprio nella zona si fermò. La bella “Ave Maria” dove Don Giulio ha il coraggio di dichiarare la sua solitudine dopo la morte dell’uccellino che gli teneva compagnia oppure la “fiammella” dove la lucciola tiene compagnia accanto al cuscino .Una poesia sicuramente intimistica con ricordi ed accenni pascoliani ,dove l’io narrante si staglia centrale ma anche smarrito al cospetto della natura, dell’immensità del creato, nel continuo rincorrersi dell’infinitamente grande e del piccolissimo ,come avrebbe detto Blaise Pascal. Mi ha colpito molto la presenza-assenza di Dio, di un Dio che vive di fianco quasi mai accennato ma presente nel creato, nell’immenso ,a volte si cela e crea disagio a Don Giulio, a volte si presenta per dare sicurezza ,resta questa piccola barca della vita quotidiana di un cuore trafitto da tante emozioni che pengolando e spumeggiando tra sbuffi continua il percorso con il ritornare della solitudine, della consapevolezza che alla fine di ogni serata, il parroco resta solo con sé stesso ,con la sua anima e la certezza di non poter esternare i propri sentimenti se non al foglio di carta, al suo cuore trafitto da tanti piccole vicende, da momenti ,situazioni che restano accanto al cuscino. E’ anche lo specchio di una dura realtà del prelato di campagna che negli anni dal 64 in poi ha vissuto il cambiamento, anche liturgico del rapporto con la divinità, ma che doveva rimanere corpo estraneo rispetto ai suoi fedeli, senza poter liberarsi del disagio di questa lontananza. La poesia di Don Giulio appare del tutto immersa in questo sospeso mondo di campagna , dove nel corso di 50 anni si è passati da un mondo contadino, dal canto dei grilli e dei galli, ai trattori e poi alle macchine che hanno invaso la nostra vita ,nel cuore del prelato, che doveva vivere nella sua “torre d’avorio ” della canonica, sono rimasti gli attimi, le folgorazioni di momenti indelebili, l’amore per il creato e per le sue piccole vite… con lo spirito vivo del cercatore,ma anche con la lancinante solitudine umana che resta l’unica amica della vita. Quante volte l’autore si interroga, senza risposta, sul senso di questa solitudine, “ora il vuoto sotto di me e l’oscuro futuro senza speranza, oppure “perché agitarti tanto per un piccolo bene se un giorno tutto finirà nel vuoto? per trovare la risposta “nel silenzio e nel buio ho ritrovato me stesso” . La impossibilità di trovare un confronto vero spinge il parroco alla tristezza, all’amare la sera, la notte ,infatti diverse liriche sono intitolate alla notte, a questo momento magico dove ogni uomo è solo con i propri sogni e le speranze ,ma dove il sogno può prendere anche il volo rispetto ad angusti ambiti che circondano le nostre vite. Le liriche si lasciano leggere con la semplicità e la genuinità di un cuore libero che anela all’immenso e che custodisce spicchi di tristezza e di amarezza come spine di una vita intensa.