PIEDIMONTE MATESE / LETINO. Piedimonte o Letino dovrebbe dedicare una strada al Vescovo G. de Lazara e non solo a G. di Giacomo.

Per le sue attività benefiche nell’ambiente sociale del territorio curiale, meriterebbe almeno la dedica di una strada locale, come fu fatto per il napoletano Vescovo Gennaro di Giacomo.

di Giuseppe Pace

Già prima del 495 d. C., la storica cittadina d’Alife, aveva un Vescovo che promuoveva la religione Cattolica. Essa era divenuta di tutto il territorio dell’Impero Romano dal IV sec. con Costantino (per ricambiare l’aiuto dei Cristiani alla battaglia vittoriosa di Ponte Miglio su Massenzio), ma già in Armenia lo era stato da mezzo secolo prima del famoso e romano Editto costantiniano. Dal 495, è certo, che fu Vescovo d’Alife, Claro, che intervenne a ben 2 Concili romani indetti dal Papa Simmarco nel 495 e 501 d. C.. Nel primo di tali Concili difese il Papa contro dell’avversario antipapa Lorenzo, dimostrando, nel secondo Concilio, la presunta innocenza del Papa ufficiale dalle gravi colpe, addirittura dei delitti, che gli erano stati ascritti ed imputati. Le Diocesi sono state suddivise con criteri che non hanno risentito delle spartizioni territoriali della Storia civile. Una delle grandi Diocesi ad esempio è quella di Padova, che comprende anche comuni del vicentino, ecc.. Un Vescovo padovano fu nominato Pastore della Diocesi d’Alife il 22 marzo 1676, si chiamava Giuseppe de Lazara. Per le sue attività benefiche nell’ambiente sociale del territorio curiale, meriterebbe almeno la dedica di una strada locale, come fu fatto per il napoletano Vescovo Gennaro di Giacomo, stretta strada che da via Angelo Scorciarini Coppola conduce al Vallone. De Lazara fu un proficuo Pastore e dopo un riconosciuto ottimo governo di circa 27 anni, morì nell’anno 1702, all’età di 75 anni, e fu sepolto nella chiesa di S. Tommaso d’Aquino. Trasferì a Piedimonte M. il seminario, che era stato ubicato a Castello M. dal Vescovo Pietro Paolo, Inoltre fece di tutto per portare la reliquia di San Marcellino ai piedi della statua del Santo a Piedimonte nel 1685 dove viene onorata annualmente con una giornata festiva, è il Santo Patrone piedimontese proclamato da Lazara nel 1643 anche per le frazioni di S. Gregorio, Castello e San Potito, allora dipendenti da Piedimonte. Consacrò la suggestiva chiesetta della cosiddetta “Solitudine” nel convento degli Alcantarini di San Giuseppe della Croce, che aveva ordinato Sacerdote. Nel 1667 volle la Parrocchia di San Marcello di Sepicciano e l’anno dopo fece riparare la cattedrale danneggiata dal sisma. La Chiesa di Sepicciano, attualmente ha come ministro di culto il castellano Don Salvatore Zappulo, mentre il Dr. Rosario Di Lello ne ha descritto la storia con un libro. Notizie ulteriori sulla pastorale attiva e dinamica di Giuseppe de Lazara si possono leggere oltre che sul mio libro dedicato a “Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio”, Energie Culturali Contemporanee Editrice, Padova 2011 (in cartolibrerie ”Tutto per la Scuola”, sul ponte del Carmine e da D’Aulisio vicino all’ex edificio dei Salesiani). Tale libro, che contiene un ampio capitolo, non solo ossequioso, della nostra Diocesi, è stato presentato in agosto c. a. alla Biblioteca civica piedimontese “A. Sanseverino” con il patrocinio del nuovo Sindaco, Dr. Luigi Di Lorenzo. Non è stato ancora possibile presentarlo in Biblioteca diocesana, nonostante abbia scritto, invano poiché non ha risposto alla mail inviata, al Vicario (Don A. Caso) del Vescovo, Valentino Di Cerbo. La biblioteca piedimontese, con sede nel Seminario del Pastore diocesano, dedicata a S. Tommaso d’Aquino, ha un notevole patrimonio bibliografico: quello che deriva dalla Biblioteca del Seminario alifano, nata per opera del Vescovo Pietro Paolo De Medici con la fondazione del Seminario nel 1696 e arricchitasi nel XIX secolo del patrimonio librario della soppressa biblioteca dei Cappuccini di Piedimonte, quello della Biblioteca vescovile di Caiazzo, quello delle opere appartenute al vescovo della Diocesi di Alife Gennaro Di Giacomo (1849-1873), Senatore del Regno italiano. La recente digitalizzazione bibliotecaria ha dato priorità alle edizioni del XVI secolo delle tre fondi e ai testi con connotazione territoriale come le Nuove Fiamme del poeta petrarchista cinquecentesco Ludovico Paterno, nativo di Piedimonte, la Breve narratione della miracolosa traslazione di S. Sisto papa dell’alifano Niccolò Giorgio, le Dissertazioni del canonico Trutta, storico piedimontese del XVIII secolo, del giurista settecentesco Niccolò Occhibove, mancano saggi di altri e più recenti scrittori localisti. Dal fondo del Vescovo Di Giacomo sono stati estrapolati titoli ad argomento storico e legati al periodo risorgimentale. Dalle opere del Fondo della Biblioteca del Seminario di Caiazzo vi è un esemplare della Theologia moralis di sant’Alfonso Maria de’ Liguori con nota manoscritta dello stesso santo, la seicentesca Noce maga di Benevento estirpata da S. Barbato opera postuma del dottor Nicolo Piperno patritio beneuentano, la Vaiasseida poema heroico di Giulio Cesare Cortese. Mancano saggi di caiatini scrittori come Pasquale Cervo. Negli anni Sessanta lo scrivente frequentava l’accogliente ed attiva sede dell’Azione Cattolica dell’Annunziata con i seguenti coetanei: G. G. Scappaticcio, M. Martini, L. Pepe (prof. dell’Università di Ferrara), G. Montuori (migrato in Friuli), A. Pescatore, G. Granitto (migrato in Abruzzo), ecc.. In precedenza da Letino, dove la dottrina era impartita da Don Alfonso De Balsi, frequentavo, a Capo di Campo e vicino alla trattoria dell’Impiccato, i ritiri diocesani estivi, che duravano circa un mese, con molte attività improntate alla Dottrina Sociale della Chiesa. La Diocesi di Piedimonte M. attuale, deriva da due preesistenti antiche Diocesi di Alife, nota dal 499 con il vescovo Clarus, e di Caiazzo, la cui reggenza ininterrotta dei vescovi risale al 966, vengono unite in un unico ente ecclesiastico nel 1984 sotto il titolo di Diocesi di Alife-Caiazzo. Le anime con la fusione sono raddoppiate fino alle attuali 70 mila, viventi in più di 750 kmq di territorio, naturale e culturale, curate da oltre 60 ministri di culto o sacerdoti di 44 parrocchie e 24 comuni. Il territorio diocesano si estende dalle olivate colline caiatine ai paesetti montani del Matese, che confinano con il Molise: Capriati al V., Ciorlano , San Gregorio M. Castello M., Gallo e Letino), mentre sul pedemontano meridionale sono: Ailano, Alife, Gioia Sannitica ( per le sole frazioni di Calvisi e Carattano) Piedimonte Matese, Prata S., Pratella, Raviscanina, San Potito S., Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola. I Comuni dell’area caiatina confinano ad est con il beneventano, a sud con l’area casertana: Caiazzo, Castel Campagnano, Ruviano, fanno parte della Comunità Montana di Monte Maggiore, Alvignano, Baia e Latina, Caiazzo, Castel Campagnano, Castel di Sasso, Dragoni, Formicola, Liberi, Piana di Monte Verna, Pontelatone, Ruviano. Sono non poche le notizie diocesane che si possono avere anche dall’utile saggio “Le Chiese d’Italia, dalla loro origine sino ai nostri giorni, vol. XIX, di Giuseppe Cappelletti, Ed. Giuseppe Antonelli, Venezia, 1864. Del Vescovo G. de Lazzara vorrei ribadire la determinazione con la quale difese il popolo piedimontese e non solo (anche quello letinese) dai soprusi dei Nobili locali, che erano di casa nella Reggia dei Borboni a Napoli, Borboni che li proteggevano troppo e promuovevano anche i nuovi Vescovi, che, nel passato, erano quasi tutti d’origine nobiliare. Anche il Vescovo G. de Lazzara proveniva da una nobile ed omonima dinastia patavina, che non era influenzata dal potere dei Borboni del Mezzogiorno, ma dai Dogi della Serenissima Repubblica di Venezia, che in Vaticano avevano i loro degni rappresentanti tra i Principi della Chiesa o Cardinali. E poi è risaputo che il Veneto è territorio di Papi, anche se i meridionali Caetani ne hanno avuto uno e famoso anche per aver fatto dimettere Celestino V.. A Piedimonte M., come scrivevo sopra vi è una stradina dedicata al Vescovo Gennaro (il nome indica già l’origine anche se attualmente di Gennaro ve ne sono sempre meno nel napoletano) Di Giacomo. Egli nacque a Napoli il 19 settembre 1796, fu Canonico della Metropolitana Napoli e parroco di S. Maria della Rotonda, una delle principali parrocchie dì detta città. Era assai ben voluto da Ferdinando II: Re delle due Sicilie, divenendone anche Consigliere a latere, ed aveva libero accesso ai Palazzi Reali, forse anche di quello moderno di Caserta. I moti risorgimentali del 1848 cagionarono un certo interregno alla morte di Monsignor Puoti, e solo il 22 dicembre 1848 Mons. Gennaro di Giacomo fu nominato Vescovo di Alife e Telese. Consacrato in Napoli il 4 marzo 1849, il 19 dello stesso mese ed anno fece il solenne ingresso in Alife. Fu un cultore letterario, e volle separare le due Diocesi, ottenendo da Pio IX e da Ferdinando II che fossero nuovamente separate, come realmente fu fatto colla Bolla Expertunj nobis del 6 luglio 1852, scegliendo di restare solo Vescovo di Alife. Utilizzando la sua Autorità e i suoi confidenziali rapporti, tanto col regno Borbonico, quanto, in seguito, col regno dei Savoia, liberò più volte Alife e Piedimonte d’Alife dal saccheggio, minacciato ora dagli uni ora dagli altri, e “protesse” molti dei compromessi politici da certi castighi e da altre vessazioni. Tra i meriti si possono indicare quelli connessi al dono della carità per aver preservato dalla colpa e dal disonore parecchie fanciulle pericolanti, e confortò personalmente i condannati a morte. Provvide la Cattedrale di arredi e sacri indumenti, specialmente di quelli occorrenti per la funzione degli oli santi, ed ottenne dal governo L. 4000 per completare i lavori del Coro maggiore. Introdusse, specialmente nelle chiese di Piedimonte, la devozione delle Quarantore. Tra i meriti minori per non dire demeriti si possono indicare i seguenti: celebrò, con grande pompa, la proclamazione del dogma dell’Immacolata ed il 25° del Pontificato di Pio IX; nel 1861 annesse al Capitolo Cattedrale i 6 cappellani di S. Caterina, tre dei quali colla qualifica di Canonici Diaconi e gli altri tre di suddiaconi, con tutti i diritti ed insegne canonicali; concesse ai canonici delle Collegiate di Piedimonte l’uso delle cappe, causando contrasti con il Capitolo Cattedrale e soprattutto fu accusato di essere un oppositore dell’infallibilità Pontificia, anche se non intervenne al Concilio Vaticano, quando fu definito tale dogma, ne fu dispensato dallo stesso Pio IX, per ragione di salute. Il Vescovo Gennaro, secondo Mons. Iannacchino, “alla cultura non sempre congiunse la gentilezza di modi. Amò in religione più apparire che essere; diede prova di eccentricità di carattere, di leggerezza e pieghevolezza all’ira”. Nel 1860 preferì l’adattamento e l’opportunismo, fino a fare la ronda colla guardia nazionale, non sappiamo se per elezione o per necessità. Fatto cavaliere della Corona d’Italia e Senatore del regno, intervenne ad una seduta del Senato, quando si discusse la questione del matrimonio civile, in difesa del quale scrisse anche una dissertazione. Tale condotta non poteva essere approvata dalla S. Sede, perciò, chiamato a Roma da Pio IX, fu persuaso a scaricarsi del peso della Diocesi, conservandone il titolo e l’intera rendita, anzi il Papa vi aggiunse anche una pensione di 200 lire mensili. Stabilite così le cose, il 6 settembre 1873, venne in questa Diocesi, con la qualifica di Vicario Generale cum omnimoda potestate, ma in realtà, come Vicario Apostolico, il Sacerdote napoletano D. Luigi Barbato Pasca, il quale il 27 dicembre 1874 consacrato Vescovo titolare di Sinopoli e Coadiutore con futura successione di Mons. di Giacomo. Questi, liberatosi della cura della Diocesi, ed ottenuto dal Re il permesso di occupare un appartamento della Reggia di Caserta, quivi si ritirò. Avendo voluto seguire a piedi la processione del Corpus Domini, si ammalò e morì il 1° luglio 1878 all’età di 82 anni. Secondo il P. B. Gams, Series episcoporum, Ratisbonae 1886, nel Regno delle Due Sicilie esistevano all’inizio del Concilio Vaticano 105 circoscrizioni diocesane di cui ben 31 erano vacanti. I vescovi meridionali presenti all’inizio del Concilio erano 64, ai quali bisogna aggiungere gli abati nullius di Monte Vergine, Cava e Montecassino. (Mansi, 50, II, p .22-26): solo dieci erano assenti, per lo più per motivi di salute o di età avanzata. Fra i tre o quattro che Pio IX designa con il termine forte, di rognoso, secondo uno stile non del tutto raro in lui, rientrava un certo Mons. Gennaro di Giacomo, vescovo di Piedimonte d’Alife (1796-1878), di nette e ben note tendenze liberali, che gli valsero nel 1863 la nomina a Senatore del Regno, e che, in pieno dissenso con le direttive del papa, prese parte attiva ai lavori parlamentari. Egli addusse il pretesto della cattiva salute per non partecipare al Concilio. (G. G. Franco, G. Martina, Appunti Storici sopra il Concilio Vaticano, Università Gragoriana Editrice, Roma 1972). Dopo aver appena indicato le attività pastorali dei due vescovi dell’antica Diocesi d’Alife, lascio al lettore l’onere e l’onore di stabilire chi dei due avrebbe meglio meritato la dedica di una strada a Piedimonte Matese, dove l’andare a braccetto tra potere civile e religioso, purtroppo è una nefasta e diffusa consuetudine. Tale consuetudine, interrotta dal Vescovo G. de Lazara, è continuata fino ai nostri giorni e si spera che sia finita dopo l’operazione della meritoria Magistratura denominata “Assopigliatutto”. Quest’ultima ha ridato valore alla trasparenza e all’onestà, virtù promossa da entrambi i poteri (sia secondo il Legislatore della Repubblica Italiana che dello Stato del Vaticano, libera chiesa in libero stato è una necessaria politica con distinzione di stile e di utile dottrina sociale della chiesa). Nel clero diocesano del territorio della Diocesi del Sannio Alifano, ci sono stati e continuano ad esserci tanti bravi ed onesti ministri di culto cattolico. I Pastori che dirigono la Curia locale sono stati tanti e controversi sia ieri che oggi. Resta il fatto che tra potere civile e religioso l’andare troppo sotto braccio è una possibile e più probabile tirannia per il possibile voto di scambio e la mancanza di fiducia del dignitoso, povero e bisognoso. Il Pastore G. de Lazara fu un esempio di onestà ed operosità per le circa 70 mila anime dell’alto territorio casertano, che il Vaticano pose e continua a porre sotto la protezione di “pastori che puzzano di pecore”, usando un’espressione tanto di Papa Francesco. De Lazara seppe puzzare di pecore più di altri Vescovi locali e soprattutto di quelli che parlano bene e razzolano male. La secolarizzazione della religione in Europa ha causato una notevole indifferenza verso il sacro ed il religioso che è in tutti gli uomini, cittadini democratici del nostro tempo e non più sudditi di poteri civili e religiosi. Dunque una strada per il Vescovo, d’origine della Serenissima Repubblica Veneta, terra di papi (l’attuale Segretario di Stato Vaticano è di Vicenza), non va esclusa solo a vantaggio di altri nativi della Campania. Forse a Letino, della Diocesi d’Alife-Caiazzo, più che a Piedimonte M., il Vescovo padovano suddetto potrebbe ricevere più attenzione civile perché più pastori tra i pastori di anime e alla parola data si mantiene più fede. Oggi i letinesi si sono ridotti a meno di 750 per il massiccio esodo dall’ambiente montano con pochi servizi nonché più povero, ma nel passato il paesetto aveva anche superato le 1300 anime con il più popolato (oggi lo è meno di Letino) e vicino Gallo Matese, le cui anime sono, fin dall’inizio, sotto le cure edificanti del Pastore diocesano d’Isernia e non d’Alife come i letinesi, miei primi paesani e i secondi cittadini piedimontesi.

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