Telese Terme / Cerreto Sannita. Per sconfiggere il covid-19 intensificazione test e tracciamento dei contatti: il punto della Abbamondi.

“Nessun potenziamento delle strutture ospedaliere pubbliche, soprattutto nelle aree interne come le nostre dove risultano ancora chiusi gli ospedali di Cerreto e San Bartolomeo in Galdo e sotto-sfruttata la struttura di Sant’Agata che ben potrebbero servire alla cura Covid, pochissimi tamponi e nessun sistema di controllo a distanza”.

di Nuccio Franco

La guerra contro il coronavirus non si vince solo stando nelle nostre case ma anche, con un sistema sanitario efficace ed efficiente – sostiene Angela Abbamondi, consigliere comunale a Telese Terme. Con un numero elevato di tamponi e con l’uso di strumenti all’avanguardia per il controllo a distanza delle persone, purtroppo non ancora in nostro possesso, salvo rare eccezioni. Ad oggi la politica sia nazionale che regionale di contenimento dei contagi ha puntato prevalentemente, se non esclusivamente, sull’isolamento. In Campania De Luca – secondo il quale non più tardi di alcune settimane or sono il Covid 19 era poco più di un’influenza – nonostante l’enorme vantaggio rispetto alle regioni del nord, ha mostrato i muscoli solo nel momento in cui ha realizzato che il virus era qualcosa di molto più serio. Ha quindi ordinato ai cittadini di stare a casa ma poco o nulla ha fatto sugli altri fronti, mostrando tutti i suoi limiti in tema di scelte sulla Sanità. Tale atteggiamento, infatti, si giustifica solo ed esclusivamente in virtù della circostanza di coprire lo sfascio della sanità in Campania perpetrato in questi anni e di cui lui come altri, credo non potevano non sapere in quanto responsabili politici del governo della Regione. In sostanza è stato come guardare il dito e non la luna. Di conseguenza, nessun potenziamento delle strutture ospedaliere pubbliche, soprattutto nelle aree interne come le nostre dove risultano ancora chiusi gli ospedali di Cerreto e San Bartolomeo in Galdo e sotto-sfruttata la struttura di Sant’Agata che ben potrebbero servire alla cura Covid, pochissimi tamponi e nessun sistema di controllo a distanza. Eppure il successo nel contenimento del virus in nazioni fortemente colpite dal contagio hanno dimostrato che le misure di distanziamento sociale non bastano. Servono anche quelle di “sorveglianza attiva” ovvero di isolamento dei focolai del virus, attraverso il tracciamento dei contatti dei soggetti positivi e la sottoposizione di essi ai test anche se asintomatici, procedendo così a ritroso fino a definire una platea di soggetti, sicuramente molto numerosi, da mettere in quarantena e ai quali praticare i tamponi. Va chiarito che tali misure non prevedono di praticare test di massa, ma solo su alcuni soggetti ad alcune categorie più a rischio di essere portatori di infezione (sanitari, assistenti degli anziani, personale delle case di riposo, ecc.). Ad oggi invece le linee guida nazionali e locali prevedono che debba essere effettuato il tracciamento di tutti i contatti dei soli soggetti risultati positivi ed il tampone ai soli soggetti gravemente sintomatici. Ciò nonostante molti studi abbiano dimostrato che anche i soggetti asintomatici possono trasmettere il virus. È necessario quindi aumentare il numero dei tamponi e processarli subito. I contagiati vanno intercettati nel più breve tempo possibile per evitare che arrivino stremati in ospedale e solo lì vedersi effettuato il tampone. Si consideri che nelle nostre zone il contagio non è ancora molto diffuso e i positivi potrebbero essere quindi più facilmente identificati, isolando le catene di contagio. Purtroppo la mancanza di sorveglianza attiva ha riguardato finora anche i sanitari ai quali non vengono praticati i test, se non quando vi siano gravi sospetti di positività e ciò nonostante il personale sanitario sia proprio quello più esposto ai contagi. Anche in questo caso si manifesta palese la necessità di intensificati i tamponi. La diffusione del contagio tra chi è in prima linea nella lotta al virus, non solo mina ulteriormente le capacità di risposta del sistema ma, soprattutto, trasforma gli ospedali e gli studi professionali dei medici di famiglia in focolai dell’infezione. Probabilmente, per il personale sanitario e soprattutto ospedaliero, al fine di evitare che essi siano vettori di contagio anche delle rispettive famiglie, potrebbe essere opportuno prevedere la possibilità di risiedere in luoghi diversi delle proprie abitazioni. Del resto in questa direzione va la recente iniziativa della Regione Toscana e delle ASL locali per il reperimento, tra le strutture turistiche ricettive, di alloggi da destinare a residenza del personale sanitario. È evidente che la tutela di tale categoria è garanzia per la salute di tutta la Comunità. Anche sotto il profilo psicologico perché servirebbe a rassicurare i cittadini, tenendo a freno l’ansia e la paura collettiva difficili da gestire. Ciò che è mancato e manca a causa dell’improvvisa quanto devastante diffusione del virus che ancora non conosciamo ma che risulta decisamente pericoloso, è stata anche la formazione professionale. A ciò si aggiunge la fornitura di materiale sanitario il cui effetto protettivo, in alcuni casi, si è rivelato assolutamente discutibile. Tuttavia, ciò che manca in questa guerra, è un coordinamento unico, centralizzato. Si ha infatti la sensazione che, spesso, ognuno vada per la sua strada. Ugualmente importante, oltre ai tamponi, sarebbe la tracciatura a distanza alla quale siamo però impreparati in quanto non in possesso della necessaria tecnologia e per problemi di carattere “giuridico” anche connessi alla tutela della privacy.

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