Donne e false accuse. Prostituta denuncia di minaccia il suo benefattore, malcapitato trascinato in tribunale sul nulla più assoluto: assolto dopo 8 anni.

La donna ha detto di essere stata minacciata, quindi deve essere creduta. L’uomo nega e dimostra di aver fatto di tutto per aiutarla, ma inquantouomo non deve essere creduto.

Altra tessera del deprimente mosaico dal titolo “come funziona la giustizia in Italia”.

Siamo di fronte ad una specie di Pretty Woman alla siciliana: a Palermo un cliente si innamora della prostituta rumena che frequenta abitualmente, fa di tutto per toglierla dalla strada, le prende una casa, si occupa di lei e la sostiene anche economicamente.

Per un po’ funziona poi lei si stanca, vuole tornare al lavoro (ora si dice sex-worker) ed accusa il suo benefattore di averla minacciata di morte. Qui entra in gioco la perfetta macchina della giustizia italiana. La donna ha detto di essere stata minacciata, quindi deve essere creduta. L’uomo nega e dimostra di aver fatto di tutto per aiutarla, ma inquantouomo non deve essere creduto.

Rinvio a giudizio.

Primo grado – il PM fa un errore degno del miglior Fantozzi: dimentica di inserire nella lista testi la sedicente vittima. L’accusa quindi si fonda sul nulla, non ci sono prove, non ci sono registrazioni audio, non ci sono chat, non ci sono sms, non ci sono mail, non ci sono testimoni, per colpa del distratto PM non c’è nemmeno la parte offesa a confermare “si, mi ha minacciato” e da controinterrogare da parte della difesa. Nonostante tutto, però, il giudice monocratico condanna l’uomo a due mesi, senza la sospensione condizionale della pena. Sulla base di cosa? Secondo l’incrollabile certezza del giudice, l’imputato avrebbe sicuramente minacciato la donna, provocando in lei un timore tale che “nonostante il lavoro che svolgeva, si trattava di una meretrice, si era recata in questura per fare la denuncia”. Non è un film di Franco e Ciccio, è la dicitura testuale nelle motivazioni della sentenza.

Corte d’Appello – assoluzione con formula piena, perché il fatto non sussiste. L’avvocato dell’aspirante salvatore di prostitute ha dovuto spiegare che, senza sentire la presunta vittima, sarebbe mancata ogni prova della minaccia, ma anche che prostituirsi nel nostro ordinamento è lecito e che dunque la donna non avrebbe rischiato nulla rivolgendosi alla polizia.
Tesi che sono state pienamente accolte dalla seconda sezione della Corte d’Appello, presieduta da Antonio Napoli, che ha assolto l’uomo con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Ok, ma la denuncia risale al 2015 e il malcapitato, trascinato in tribunale sul nulla più assoluto, ne è uscito a testa alta solo nel 2023.

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