Donne e violenze. Codice rosso, c’è chi lo vorrebbe a senso unico: chiara in merito la Cassazione.

Quando il sistema mediatico è inquinato dallo stesso pregiudizio antimaschile. Due donne si azzuffano, una stacca a morsi… da “chiunque contro chiunque altro”: la sentenza della Cassazione ribalta tutto

di Patrizia Maciocchi

Codice rosso: c’è chi lo vorrebbe a senso unico. Due donne si azzuffano, una stacca a morsi mezzo orecchio all’altra provocandole una lesione permanente. Circostanza punita dal Codice Rosso (legge 69/2019, art. 583 quinquies, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti del viso).

La difesa della mordace imputata tenta di sostenere che il Codice Rosso si applica solo quando l’aggressore è un uomo e la vittima una donna, quindi il reato non si configura tra persone dello stesso sesso.

Viene smentita dalla Cassazione, sez. V penale: la sentenza n. 7728 del 22 febbraio 2024 ribadisce che un comportamento illecito è sanzionabile se tenuto da chiunque in danno di chiunque. È singolare che si arrivi fino al terzo grado di giudizio e debbano pronunciarsi i giudici di Legittimità per stabilire che una legge dello Stato è per sua stessa natura asessuata: codifica una fattispecie autonoma di reato a prescindere dal genere di autore e vittima.

La bislacca teoria della difesa, tuttavia, non nasce dal nulla: ha solide basi e viene alimentata da mille messaggi subliminali che le istituzioni ed i media dispensano a piene mani da anni: la legge sullo stalking, il Codice Rosso ed il Codice Rosso rafforzato vengono continuamente propagandate come “leggi per proteggere le donne”, “leggi a favore delle donne”, “leggi a tutela delle donne”, “leggi per contrastare la violenza sulle donne” ed altre declinazioni dello stesso concetto di base: la protezione è appositamente concepita per il genere femminile.

La propaganda è unidirezionale come anche le misure accessorie: il numero istituzionale 1522, la rete dei CAV, le case di fuga, il reddito di libertà, il protocollo Zeus, la campagna Questo non è Amore, le stanze rosa nei commissariati e nelle stazioni dei carabinieri, la formazione di magistrati e FF.OO. sulla violenza di genere, e tanto altro ancora.

Le sollecitazioni istituzionali non sono indirizzate a chiunque per denunciare qualunque tipo di violenza, ma sono anch’esse unidirezionali: denunciate donne, denunciate, non siete sole, ogni donna che denuncia deve essere creduta, gli inquirenti devono acquisire come “prova” la mera narrazione della sedicente vittima, non bisogna indagare troppo altrimenti è ri-vittimizzazione, indagini in 48 ore (una farsa) e subito misure cautelari restrittive per il presunto reo.

Con tale bombardamento ideologico è ovvio che qualche avvocato (o avvocatessa, così la Boldry è contenta) abbia la faccia tosta di sostenere in Tribunale che il Codice Rosso è strutturato per sanzionare gli uomini violenti quindi non vale quando quelle violente sono le donne.

Andando oltre il maldestro tentativo dell’avvocatessa, è lecito chiedersi quale sia la ratio – palese od occulta – non solo delle novelle normative ma anche del corollario di iniziative che le accompagnano. Appurato che bisogna arrivare in Cassazione per sapere che una legge dello Stato dovrebbe tutelare ogni vittima di violenza a prescindere dal sesso di autori e vittime; appurato anche che la teoria trova scarsa applicazione nella pratica, resta da chiedersi se – nelle intenzioni più o meno occulte delle femministe suprematiste – il pacchetto di misure “per contrastare la violenza sulle donne” serva effettivamente a tutelare le donne oppure il reale obiettivo sia quello di accanirsi contro gli uomini il più duramente possibile, anche quando non hanno fatto nulla.

Terrorizzarli, annichilirli, renderli consapevoli che ogni donna potrebbe rovinare loro la vita anche senza motivo, costringerli alla speranza spasmodica di riuscire a documentare la cosa più complessa in assoluto nelle aule di tribunale, la prova in negativo: provare cioé di non avere fatto ciò di cui vengono accusati.

L’inversione dell’onere della prova: un’altra colonna portante del nostro ordinamento che crolla, sacrificata sull’altare del femministicamente corretto. L’istanza rigettata dalla Cassazione è emblematica poiché l’intero sistema mediatico è inquinato dallo stesso pregiudizio antimaschile: gli articoli di cronaca che parlano di violenze femminili (stalking, maltrattamenti, sfregio con l’acido, percosse, lesioni, accoltellamenti, strangolamenti, avvelenamenti, omicidi tentati e consumati) riportano costantemente diciture quali “violenza al contrario”, “aggressione a ruoli invertiti” o addirittura “ruoli processuali capovolti”, come se il codice penale fosse strutturato per il modello uomo-aggressore/donna-vittima e i casi speculari fossero delle sporadiche anomalie. Per i media sono sempre casi isolati. Anche quando i casi isolati si ripetono a migliaia.

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