Terra dei fuochi. Roghi appiccati a ridosso dei centri commerciali, illuminati a festa. Il punto di Piero Cappello, Presidente Asi Caserta.

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Così Piero Cappello, Presidente Consorzio Asi di Caserta: “Il cuore dell’affare incendi non è tanto la camorra, il problema è anche l’economia illegale“,che ingloba centinaia di aziende e due grandi aree industriali, come quella di Aversa-Teverola e Marcianise. In un interessate spaccato di Lorenzo Iuliano proponiamo gli ultimi sviluppi della terra dei fuochi, tra il decreto del Governo Letta e gli ultimi roghi a ridosso dei centri commerciali.

Le ombre nere delle nubi si allungano anche sulle luci del Natale. Il fumo e l’odore acre dei roghi arrivano nei luoghi dello shopping, nei parcheggi dei centri commerciali, mentre con le borse della spesa ancora in mano la gente cerca invano riparo nelle auto.

La Terra dei fuochi continua a bruciare. Non bastano nuove leggi, non servono gli appelli, non aiutano le rassicurazioni delle istituzioni, non c’è tregua nemmeno alla vigilia di Natale. I tweet della rabbia e le foto di denuncia su facebook non lasciano scampo. I comitati documentano tutto: è un tempo contromano e infelice quello del Natale 2013, scandito non dal rintocco delle ore, ma da ogni nuovo incendio segnalato direttamente da chi respira l’aria appestata. La Terra dei fuochi è un abisso, dove il fondo non è mai un arrivo, sempre una nuova partenza. E dove certi roghi continuano a bruciare anche dentro, alimentandosi di anni di abbandono, di voglia di riscatto e protesta. Gli incendi di rifiuti sono diminuiti del 40 per cento in un anno in provincia di Napoli e del 25 per cento in quella di Caserta, secondo i dati della task force del ministero dell’Interno, guidata dal prefetto Cafagna. Ma comitati e cittadini mostrano sui social network la cadenza quotidiana delle fiamme, appiccate ovunque nella vasta area a cavallo tra le due province e contestano i dati. Gli ultimi due proprio ieri sera: alle 17.30 nelle campagne tra Afragola e Caivano, nei pressi dell’Ipercoop; alle 19 in via Rotondella a Sant’Arpino, dove le fiamme sono divampate in un deposito di auto e pneumatici, minacciando le case e anche un deposito di gas.

I residenti hanno allertato i soccorsi, ma hanno dovuto attendere che i vigili del fuoco arrivassero da Caserta. Hanno pure visto scappare alcune persone. Fantasmi. Come accade troppo spesso. La «caccia» Così prosegue la «caccia a Moby Dick», difficile da scovare come i moderni untori della terra. Già, ma chi sono?

E perché vanno avanti più o meno indisturbati, nonostante il recente decreto legge del governo introduca pene severissime, come il carcere? Dal 3 dicembre, data di approvazione del provvedimento, sono stati solo due gli arresti effettuati in base alle nuove norme, «perché è davvero difficile cogliere questi criminali in flagranza, bastano pochi minuti di ritardo e si perde l’occasione. E poi siamo di fronte a un territorio vasto e a forze di polizia sotto organico», spiega Corrado Lembo, procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Il magistrato – che ha coordinato i primi e unici arresti post-decreto, e che con il protocollo di salvaguardia ambientale ha impiegato anche i droni per scovare rifiuti e piromani – lancia l’allarme: «Non bastano le manette, perché l’effetto deterrente passa dopo poco, occorre invece un controllo costante da parte delle forze di polizia, con l’ausilio di sistemi di videosorveglianza. Ma oggi tutto questo non è possibile per le carenze di personale».

La conferma arriva dal grido di aiuto di chi i controlli va a farli, come il comandante regionale del Corpo forestale, Vincenzo Stabile: «La Forestale è passata dal ruolo preminente di polizia preventiva a quello di forza investigativa e repressiva, ad oggi abbiamo tante di quelle deleghe dalle Procure che addirittura io ne ho dovuta prendere una», racconta e svela: «A Caserta possiamo contare su appena 36 uomini in servizio, a Napoli sono 55 ma le attività per conto della Dda assorbono quasi tutto. Ho dovuto far arrivare personale dal Cilento per affrontare l’emergenza dei roghi. Siamo al collasso, con i comandi locali oberati fino all’inverosimile. Attendiamo che arrivino i rinforzi promessi dal governo. E non dimentichiamo – conclude Stabile – che oltre ai roghi, lavoriamo contemporaneamente sui rifiuti tombati e sull’inquinamento delle acque, in un clima di allarme continuo».

I «colpevoli» «Il cuore dell’affare incendi non è tanto la camorra, il problema è anche l’economia illegale», dice Piero Cappello, presidente del consorzio Asi di Caserta, che ingloba centinaia di aziende e due grandi aree industriali, come quella di Aversa-Teverola e Marcianise. Un aspetto poco indagato a monte: «È necessario un impegno maggiore innanzitutto nel contrasto alle tante piccole fabbriche che ancora oggi sono sconosciute a tutti, ma che producono marchi contraffatti, destinati al mercato parallelo e lavorano completamente in nero». L’ultimo sequestro nella Terra dei fuochi è di pochi giorni fa: 72mila paia di scarpe griffate, rigorosamente false, trovate a Maddaloni. «È evidente che se l’apparato produttivo è clandestino, anche per smaltire i rifiuti si utilizza il sistema più semplice, prima si buttano in aperta campagna e poi si manda qualcuno a dare fuoco».

Tre le tipologie di attività «incriminate». A rivelarlo è la natura stessa dei veleni sversati: sono quelle del settore calzaturiero, dell’abbigliamento e le officine meccaniche. Che si traduce in pellami, vernici e gomme date alle fiamme. Diventa allora molto stretto il legame tra la lotta ai roghi e quella all’economia sommersa. «Stimiamo in circa il 10 per cento la presenza sul territorio di opifici completamente sconosciuti», fa sapere Cappello. E da gennaio l’area industriale di Marcianise sarà videosorvegliata. L’obiettivo è prevenire. Nel campo nomadi di Giugliano, spostato proprio accanto alla discarica Resit di Cipriano Chianese, i bambini giocano tra i rifiuti. Li ha visti anche il presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi nella sua visita di dieci giorni fa, denunciando indignata lo scandalo.

Oggi, accanto alle aziende-fantasma, tra i principali imputati dei roghi ci sono proprio loro: i rom, che vanno alla ricerca di rame e ferro, materiali che vendono poi al mercato nero. Li tirano fuori da elettrodomestici e auto, agiscono su commissione: piccole aziende dell’indotto affidano a loro lo smaltimento improvvisato dei componenti e le nubi tossiche si vedono a chilometri di distanza. «Ma con i rom ci andiamo cauti, bisogna essere in tanti a intervenire e poi c’è una miriade di problemi per mandarli via, rischiamo di perdere settimane dietro di loro e non ce lo possiamo permettere», confida un investigatore. Ai rom si aggiungono i contadini che continuano a bruciare plastica per serre e polistirolo, nuocendo in primis a sé stessi, e poi l’inciviltà dei tanti cittadini che credono di sbarazzarsi prima dei rifiuti, creando colonne di fumo a ogni ora del giorno e della notte.

I controlli La task force delle forze dell’ordine che si occupa dei controlli nella Terra dei fuochi è costituita da carabinieri, polizia, forestale e polizie provinciali. I Comuni dovrebbero giocare il ruolo fondamentale di sentinelle, impiegando gli agenti della polizia municipale. «Ma sono troppo pochi e non abbiamo nemmeno le risorse per pagare gli straordinari», lamentano i sindaci dell’area, con in testa Raffaele Vitale, primo cittadino di Parete. «Mi dite con quattro vigili come possiamo pattugliare già solo l’area al confine con il polo delle discariche di Giugliano?», domanda amareggiato. Chiedono di modificare il decreto in sede di conversione in legge e tra i cambiamenti puntano anche l’indice contro il comma che riguarda l’accertamento dei roghi, «perché è quasi impossibile da provare che qualcuno stia gettando rifiuti a fini di incendio, così si rischia di restare impotenti e di lasciarli impuniti». Dal litorale domizio fino a Caivano, gli amministratori hanno rilanciato le loro difficoltà alle istituzioni. «Si parla sempre di quanto viene abbandonato nella terra – hanno detto alla commissione Ambiente del Senato – ma le stesse aziende scaricano liquami e veleni anche nell’acqua, in particolare nei Regi lagni, dritto al mare. Tra quanti anni sapremo cosa hanno messo sott’acqua, oltre che sottoterra?».

Per poter ottimizzare le risorse e lavorare al meglio, l’area della Terra dei fuochi è stata divisa in più zone, sotto il coordinamento delle prefetture. Zone in cui tutti gli organi di polizia si dividono i compiti: appostamenti e pattugliamenti. La zona A è quella dell’agro aversano, la B1 è compresa tra Castelvolturno e Mondragone. Un territorio vastissimo, che comprende anche il mare. La polizia provinciale di Caserta riesce a «batterla» solo due, al massimo tre volte a settimana. Nonostante i limiti dei controlli, in un anno sono stati individuati un centinaio di discariche abusive. La mappa degli interventi tocca da vicino le aree da sempre più a rischio: i cavalcavia degli assi stradali; le periferie delle aree industriali e i campi nomadi. Punti nevralgici che, seppure ben conosciuti, non possono essere presidiati a dovere.

Modello Puglia. «Le nuove norme impongono che per ogni rogo individuato vada aperta un’inchiesta per risalire alla filiera delle responsabilità, ai mandanti. È questo ora l’anello mancante nel contrasto agli incendi», denuncia Enrico Fontana, coordinatore nazionale dell’associazione «Libera» e curatore del Rapporto annuale sulle ecomafie di Legambiente. «Anche noi abbiamo segnalato la diminuzione dei roghi, ma non basta. Per rassicurare i cittadini e stroncare definitivamente il fenomeno bisogna spostare l’attenzione sui flussi dei rifiuti dati alle fiamme». Prima però occorre distinguere i livelli. «Siamo di fronte a due tipi di azioni. L’una portata a compimento da soggetti che vivono ai margini. Questa è la grande questione sociale, che non si risolve con l’inasprimento delle pene. Conterebbero di più interventi sociali, che non si vedono all’orizzonte». Diverso il caso in cui ci sia un profilo criminale dietro le fiamme. «Allora – avverte Fontana – concentrarsi sul rogo è un errore, se parallelamente non s’indaga sui mandanti. La norma prevede pene così severe proprio per consentire questo tipo di accertamenti». Fontana invita a guardare al modello Puglia. «Non solo chiediamo di rafforzare i poteri del prefetto Cafagna, ma anche l’attività di controllo del territorio, sul modello dell’operazione ”Primavera” contro il contrabbando in Puglia. Ora non si può davvero più abbassare la guardia».
Lorenzo Iuliano

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