PIEDIMONTE MATESE / CASTELLO DEL MATESE / ALIFE. Nonostante le tante Università in Campania sono pochi ancora i laureati, che in Italia sono solo 26,9%, quasi come la Romania al 26,3%.

In Campania il bilancio del Comune d’Alife, con territorio ricchissimo di storia, è un esempio eclatante ed emblematico di un eccessivo malcostume amministrativo. Là, il colto sottoprefetto, Pietro Farina, ha lasciato significanti relazioni…

di Giuseppe Pace (Naturalista, ex prof. in Italia e Romania).

Fino a pochi decenni fa, nel Mezzogiorno d’Italia, di Università c’era solo quella di Napoli, tranne qualcuna in Sicilia e Sardegna. Poi la proliferazione delle cattedre, spesso per parenti ed amici degli amici, ha permesso la diffusione anche delle sedi universitarie: a Santa Maria Capua Vetere, Aversa, Napoli 2, Salerno, Benevento, Campobasso, Isernia, Cassino, Frosinone, ecc.. La Campania è un gigante politico ed un nano economico con la più alta percentuale di abbandono scolastico, bassa qualità dei servizi pubblici, in primis sanità, e alta presenza diffusa della criminalità, organizzata in camorra onnipresente negli appalti pubblici e dietro impensabili negozi (vedi ex bar dell’Ospedale Civile di Piedimonte Matese) uffici e scrivanie che contano, parte dei vertici dell’ex Usl casertana. I lavori pubblici, in Campania soprattutto fanno gola per la massa di soldi che viene smossa. A volte viene spontaneo ipotizzare che non è facile fermare il fenomeno tangentizio tra politici e imprese campane se per fare questo o quel lavoro si stanziano più soldi del necessario. Un esempio deriva dalle notizie di cronaca attuali: 12 milioni di euro per costruire un ponticello pedonale di 400 metri lineari tra Castello del Matese e il Convento di San Pasquale di Piedimonte Matese, che potrebbe forse essere fatto con una spesa massima di solo 2 milioni di euro. I Comuni virtuosi, che chiudono i bilanci in attivo o in pareggio nella nostrana Campania sono pochissimi, viceversa in Veneto, che registra tutti i comuni con bilanci attivi ed anche zero comuni ad infiltrazione malavitosa. In Campania il bilancio del Comune d’Alife, con territorio ricchissimo di storia, è un esempio eclatante ed emblematico di un eccessivo malcostume amministrativo. Là, il colto sottoprefetto, Pietro Farina, ha lasciato significanti relazioni (da rileggere su come e perché si amministravano i comuni, matesino-campani) inviate al Prefetto di Caserta nella prima metà del 1900. Una delle possibilità essenziali che potrebbe fare sperare in bene che possa migliorare la sua società italiana e regionale campana, senz’altro è la scuola e l’Università in modo speciale. Eppure a Napoli, città e provincia, dei ceti popolari pochi vanno all’Università per completare gli studi. Nelle altre 4 province campane è significativa la crescita dei laureati, ma ancora bassa rispetto alle regioni tedesche, ad esempio. Il voto d’opinione, non di scambio, con una percentuale alta di laureati in Campania, non permetterebbe più a certi politicanti di rappresentare il volto meno onesto della società campana e alla camorra di non spadroneggiare spesso dappertutto nonostante la meritoria azione della coraggiosa Magistratura e della DIA. I mass media campani sono zeppi di cronaca poco edificante, che mette in luce antiche e moderne catene truffaldine, più figlie delle grezze o raffinate furbate che dell’intelligenza, “la cultura è un abito cucito sulla pelle” si ben dice. Ma leggiamo i dati europei sul basso numero di laureati italiani e dunque campani. Sorprende, non poco, leggere i dati forniti dall’Unione Europea sulla percentuale bassa dei laureati italiani. Molti dei luoghi comuni imperanti diffondono ancora l’errata opinione che troppi studiano e pochi vanno a lavorare, mancano operai specializzati, ecc.. Pochi dicono, invece, che in Germania ad esempio una percentuale elevata di artigiani è laureata in ingegneria. Da noi sembra ancora valere l’anatema punitivo e popolare del passato che voleva affrancarsi dal lavoro duro dei campi e delle fabbriche:”se non studi, vai a lavorare”, invece, lavorare dopo gli studi è molto più proficuo per il singolo e per la società. In tutte le società ad economia avanzata il numero di laureati è elevato, mentre è basso nelle società ad economia attardata. Nelle prime l’immigrazione va a coprire soprattutto i ruoli dei lavoratori manuali in agricoltura, nell’industria e nelle costruzioni. La digitalizzazione e l’ammodernamento necessario dei servizi richiede titoli di studio più elevati. Sorprende anche conoscere che la Romania ha un’analoga situazione italiana per i laureati (solo il 26,3% nel 2017). Eppure il comunismo, soprattutto durante il periodo dittatoriale di N. Ceausescu (1965-1989), aveva obbligato tutti a frequentare le scuole medie superiori e molti anche le università, a differenza del fascismo, che aveva trascurato il popolo mentre curava i ceti abbienti borghesi con il liceo classico e con l’asse culturale portante del sistema gentiliano della scuola, quello storico-umanistico. Eppure durante il fascismo non tutto era a favore dei ceti sociali più abbienti. A Letino ad esempio il primo laureato e medico fu, Pitocco, proveniente da famiglia povera e spesata dallo Stato per studiare. Nel comune vicino di Roccamandolfi, invece, un podestà fu sostituito subito perché aveva falsificato una firma per non dare il sussidiario gratis ad una alunna orfana di padre. In Romania le discipline umanistiche erano, e forse lo sono ancora, secondarie all’asse portante scientifico-tecnologico voluto dal comunismo, più filofrancese di Ceausescu, che preferiva non legarsi mani e piedi all’imperialismo moscovita e faceva accordi con la Francia. E’ risaputo che in Romania la grande industria comunista aveva bisogno di chimici, ingegneri, architetti e non di letterati, come in Italia. Dove 10 anni fa ho insegnato, in Transilvania, abbondavano ingegneri, architetti, chimici., fisici e notai donne. Da Bruxelles, in questi giorni, si comunica che “Il capitale umano scarseggia” e si sottintende il n. basso dei laureati registrati nel 2017. In effetti il capitale umano è quello immateriale o delle idee, basilare delle applicazioni scientifiche e tecnologiche, che aiutano il progresso economico e sociale. L’Italia è il penultimo Paese dell’Unione Europea per la percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni di età che hanno completato la loro educazione terziaria (hanno cioè una laurea o un titolo equivalente), al 26,9% nel 2017. Secondo dati Eurostat diffusi oggi, solo la Romania è più indietro, ma neanche di tanto, al 26,3%. Il nostro Paese partiva comunque da una percentuale molto bassa nel 2002, il 13,1%, e ha raggiunto e superato l’obiettivo al 2020 (il 26%; quello dell’Unione Europea è il 40%). Tuttavia, ci sono Paesi, come la Repubblica Ceca, che hanno fatto di meglio: partiva dal 12,6%, ma oggi è al 34,2%, oltre 7 punti avanti a noi. L’Italia ha raddoppiato la sua percentuale, ma la Romania l’ha quasi triplicata: nel 2002 solo il 9,1% dei 30-34enni romeni aveva completato la propria istruzione terziaria, oggi la percentuale è del 26,3%. Di questo passo, è probabile che l’Italia venga superata e si ritrovi ultima nell’Unione Europea. La media dei 28 Paesi dell’Unione Europea dei 30-34enni laureati è del 39,9%, praticamente allineata al target al 2020 (40%). In Italia il problema non sono tanto le donne, laureate o simili al 34,1%, quanto gli uomini, che non arrivano al 20%: solo il 19,8% dei 30-34enni ha una laurea o un titolo equivalente, meno di uno su cinque. Gli uomini italiani di questa fascia d’età sono in assoluto i meno istruiti d’Europa: i secondi sono i croati, comunque al 22,1%. La Campania registra ancora oltre un 20% di abbandono scolastico, la più elevata percentuale europea. Dai dati resi noti sembra che le donne hanno ben più che raddoppiato la loro percentuale rispetto alla situazione del 2002, quando era al 14,2%; i maschi, invece, sono passati in 15 anni solo dal 12% al 19,8%. In molti Paesi dell’Unione Europea, comunque il differenziale tra maschi e femmine è ancora ampio. Nel 1861 e 1866 con l’Unità d’Italia già emerse una più diffusa scolarizzazione al settentrione rispetto al meridione ex borbonico. Oggi non è più così? Si, al Sud vanno più a scuola per l’ascensore sociale che comunque è bloccato dalle patologie insite nel nostro sistema meridionale? Forse, ma chi studia deve essere messo in grado di produrre in loco e non emigrando. In Europa più istruiti in assoluto sono i 30-34enni e le 30-34enni della Lituania, al 58%. Seguono i ciprioti (55,8%), gli irlandesi (53,5%) e i lussemburghesi (52,7%). Tra i grandi Paesi, la Germania è al 34%, ben lontana dal target al 42% al 2020; la Francia al 44,3% (obiettivo al 50% nel 2020), la Spagna al 41,2% (target al 44%) e il Regno Unito al 48,3% (non c’è target, perchè nel 2020 saranno fuori dall’Unione Europea). In Italia, infine, è piuttosto alta, rispetto al resto dei Paesi Ue, la percentuale degli early leavers, cioè i 18-24enni con almeno la terza media che non stanno frequentando scuole o corsi di formazione: sono il 14%, e anche qui le ragazze (11,2%) fanno meglio dei maschi (16,6%). Il Paese con la percentuale di abbandoni maggiore è Malta (18,6%), quello con la percentuale minore la Croazia (3,1%). In Italia vi sono problemi di calo d’iscrizione nelle facoltà scientifiche, dove si insiste con il numero chiuso o programmato per iscriversi, mentre per lettere, scienze politiche e giurisprudenza le iscrizioni sono libere. In Romania l’eccesso di burocrazia, anche nelle scuole e nelle Università, non permette un ammodernamento necessario al tempo dell’innovazione digitale e della crescita di qualità dei servizi. Le non poche Università libere hanno difficoltà a funzionare per il reddito basso dei romeni e spesso i professori sono quelli pensionati delle Università statali. Là, in pensione, si può ancora insegnare, da noi no. Le cattedre universitarie, purtroppo, sono coperte da personale anziano e il numero di professori stranieri è molto basso, purtroppo. Là, come qua, sembra che certe carriere universitarie si costruiscono come il sarto che cuce gli abiti- alias curricula, su misure prestabilite. Evidentemente i concorsi d’accesso subiscono condizionamenti ”baronali” e di nepotismo di cattedre. Studi statistici recenti lo ridimostrano obiettivamente. L’Italia e la Romania somigliano non poco per il tipo di democrazia non ancora matura, poco trasparente nella Pubblica Amministrazione e persiste ancora un’elevata corruzione pubblica. Anche gli appalti pubblici sono spesso tarlati dalle tangenti e al sud più che al nord tran silvano. L’eccessiva statalizzazione del sistema universitario italiano non sembra favorire la crescita d’iscrizioni e di dottori, come avviene nella maggior parte dei Paesi con più laureati. In Romania, invece, l’eccesso di statalizzazione è nel sistema preuniversitario, non in quello accademico, dove però la competizione non è libera di migliorare il servizio agli utenti. Un sistema scolastico snello ed efficiente, con un più diffuso e consistente aiuto pubblico ai meritevoli, renderebbe un ritorno benefico alla società di cui il sistema informativo-educativo, soprattutto universitario, è un pilastro per la crescita del capitale umano, immateriale e delle idee. La Campania necessita, più di altre regioni italiane, di un più alto numero di laureati per migliorare la sua società ed oliare l’arruginito o inesistente ascensore sociale della bassa occupazione ed alta migrazione.

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