ALIFE. La città oggi con le sue storiche mura con l’epigrafe enigmatica di Fabio Massimo.

Alife oggi ha perso non poco dell’entusiasmo di valorizzazione le sue mura, le sue statue, le sue ricchezze museali. Alife ha bisogno di uscire dalle beghe di palazzo, da interessi personali per un interesse superiore alle parti della partitocrazia recente.

di Giuseppe Pace

Passeggiando per il centro dell’interessante cittadina d’Alife e specialmente lungo il suo cardo e il suo decumano ci si imbatte facilmente in reperti archeologici d’epoca romana. Alcune pietre con epigrafi romane si vedono utilizzate ai lati di Porta Fiume, come mi fece notare il collega di scuola, umanista locale Giovanni Guadagno, che è stato anche Sindaco della sua cittadina natale. Alife, viene descritta dai media internazionali come una città romana circoscritta da mura che hanno uno sviluppo complessivo di 1,9 Km. Il perimetro murario è rafforzato da torri, sia quadrate che circolari e in corrispondenza del decumano maggiore (Via Roma – Via Napoli) e il cardine maggiore (via A. Vessella – Via G. Trutta), si trovano le porte urbiche, veri e propri archi romani, che danno l’accesso alla Città, un tempo complete da quattro enormi porte lignee che regolavano gli accessi. Le mura erano state costruite abbastanza larghe da poter sostenere gli ingressi e i camminamenti tra una torre difensiva e l’altra, così da permettere alle truppe di spostarsi agilmente in caso di necessità. All’interno delle mura sono ancora visibili tracce del vecchio castello collegato alle mura e un Torrione, ormai poco stabile, si erge ancora a difesa tra Porta Napoli e Porta Piedimonte. Parti delle mura del castello, che si collegavano alle mura di Porta Napoli, ormai fanno parte di una serie di abitazioni certamente abusive, dovrebbe essere interesse della comunità cercare di recuperarle con un massiccio intervento. Per cercare di capire meglio l’origine della cinta muraria romana d’Alife, spesso minacciata da privati che l’anno in parte rosicchiata in passato, illuminanti appaiono le riflessioni dello studioso, amante del Sannio d’appartenenza, Raffaele Marrocco, che fondò nel 1915 l’Associane Storica del Sannio Alifano. Egli scrive:”Le affermazioni di antichi ed autorevoli storici che classificano Alife città fortificata, provano com’essa sia stata murata sin dalla sua origine. La stessa regola che vigeva nei villaggi piantati su palafitte della regione padana –caratteristici per le loro reti di strade tagliantisi ad angolo retto ed orientate secondo i punti cardinali la ritroviamo in Alife, ove essa determina col suo «cardo» (N-S), e col suo «decumanus». (O-E), la pianta della città, chiusa, per le sue mura fiancheggianti, come in un parallelogramma. Queste mura che portano le tracce di una vandalica distruzione, non sono però quelle originarie, in quanto che il loro carattere costruttivo non è rispondente a quello delle quattro porte di epoca anteriore. Ciò si spiega per il fatto che Alife, o in conseguenza di un terremoto, o perché ebbe a subire, in vari avvenimenti, continue espugnazioni, abbia dovuto rifare le sue mura -quelle attuali- ritenute, come affermano due nostri scrittori -il Giorgio ed il Trutta opera di un Fabio Massimo, che sarebbe fiorito nel periodo da Adriano a Galerio, cioè tra gli anni 117 e 305 dell’E.V. Le affermazioni di questi due scrittori sono desunte da varie circostanze, principalmente dalla seguente iscrizione riportata nei loro testi: FABIO MA / XIMO. V. C. / CONDITORI. MOE / NIVM. PVBLICO / RVM. VINDICI / OMNIVM. PECCA / TORVM. ORDO. ET / POPVLVS. ALLIFA / NORVM. PATRONO. Altri scrittori, poi, posteriori al Giorgio ed al Trutta, non fanno che ripetere quanto questi ultimi ebbero a pubblicare sulle mura e sulla iscrizione, senza menomamente indagare l’autenticità del documento, e se il carattere costruttivo delle mura fosse corrispondente ai tempi in cui sarebbe vissuto quel Fabio. Prima di entrare nel vivo della questione, giova esaminare i caratteri delle costruzioni alifane, cioè le porte e le mura. Le prime appartengono all’opus quadratum , vale a dire al sistema dei grossi blocchi parallelepipedi situati in filari alternati nel senso della lunghezza e della larghezza, opus che, com’è risaputo, contraddistingue il periodo etruscheggiante sino al III secolo di Roma; le altre, cioè le mura, all’opus reticulatum. Quest’ultimo sistema, posteriore a quello delle porte, non può appartenere all’epoca in cui sarebbe vissuto il Fabio Massimo, perché allora era in uso, invece, l’opus lateritium, che, com’è noto, venne impiegato durante l’Impero. La mancata o trascurata conoscenza, adunque, di queste elementari nozioni sui sistemi costruttivi nei vari periodi dell’antichità, avranno potuto, senza dubbio, far cadere gli illustratori delle mura di Alife nel gravissimo errore di assegnarle ad un’epoca posteriore di alcuni secoli a quella cui effettivamente rimontano e, di conseguenza, nell’altro grave errore di ritenere come autentico documento epigrafico l’iscrizione in onore di Fabio Massimo. Le une e l’altra sono invece in aperto contrasto tra di loro poiché le mura appartengono, come si è visto, ai tempi repubblicani, mentre l’iscrizione, che vorrebbe apparire dell’Impero, ma non lo è, come non è repubblicana, dovrebbe essere coeva alle mura. Infatti manca di tutti i dati e di tutte le caratteristiche dei due periodi, e non ha, poi, nessun elemento per poterla classificare per lo meno del periodo di transizione. Essa si allontana persino dalle norme della scrittura, della forma, e della composizione di quelle della decadenza. E data la menzione che fa di un grande avvenimento, cioè della fondazione o della ricostruzione delle mura di questa antica città sannitica, e del nome di un illustre personaggio, nonché dei due dedicanti -ordo et populus- avrebbe dovuto riportare, come di regola, la determinazione del decreto pubblico per il quale fu permessa, e l’accenno al denaro pubblico erogato per la sua costruzione a mezzo delle consuete sigle, comuni in tutte le iscrizioni onorarie latine”. Alife ha un territorio molto esteso di oltre 60 kmq e una storia ricchissima di reperti. La città ha un’origine Sannita e coniava moneta propria come un didramma d’argento del IV secolo a. C. Fu a lungo in lotta con Roma, dal 343 al 290 a. C., venendo poi distrutta durante le note guerre 3 oppure 4 sannitiche. Numerose le sepolture di età sannitica rinvenute in località Conca d’Oro. Alife fu in seguito riedificata come oppidum, con il tipico impianto romano, con decumano massimo e cardine massimo. Incorporata come praefectura sine suffragio nella repubblica romana, e poi municipium Romanorum, con governo proprio di decurioni, decemviri, questori, censori, edili e pontefici. Fu iscritta alla tribù Teretina. Le lapidi superstiti raccontano figure e ruoli dell’Alife romana, compresi consoli romani. Del Calendario alifano si conservano frammenti dei giorni 11-19 agosto e 22-29 agosto; interessa la menzione del Circo alifano, del quale, a differenza dell’Anfiteatro e del Teatro, si è persa ogni traccia. Alife oggi ha perso non poco dell’entusiasmo di valorizzazione le sue mura, le sue statue, le sue ricchezze museali. Alife ha bisogno di uscire dalle beghe di palazzo, da interessi personali per un interesse superiore alle parti della partitocrazia recente. La res pubblica è cosa nobile. Un volta era affidata ai nobili, oggi al popolo. Ma a quale parte del popolo? Secondo Platone alla parte più colta, ma questa scende in lizza elettorale o si mantiene in disparte per paura di sporcarsi le mani? Se tutti si tirano indietro, nel privato che poi è un’illusione, la res pubblica perde il carattere nobile.

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