PIEDIMONTE MATESE/ ALIFE. Identità locale, provinciale, regionale, nazionale, europea e globale. Quale identità ha il cittadino di…

Quale identità ha il cittadino di Piedimonte Matese, Alife, ecc.?

di Giuseppe Pace (già prof. e autore di saggi come “Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio”).

Dei circa 8 mld di persone che popolano il pianeta Terra esiste un’identità di ciascuna? Esiste pure l’identità dei circa 8 mila comuni italiani come quella piedimontese? E perché no, quella alifana, che ha più profonde radici storiche? Nel paesaggio  (fattezze sensibili del territorio) l’uomo cerca i segni della memoria individuale e collettiva come quella piedimontese. La ricerca d’identità territoriale o locale oggi si chiama spesso ricerca di radici! Una presenza di Architetti del Sannio, al festival identitario piedimontese, non sarebbe stata fuori posto al festival dell’identità!

Una presenza eccessiva di relatori umanisti e non anche delle scienze sperimentali dà una visione forse meno approfondita del concetto identitario che non è facile né esaustivo. Ad esempio dire che Ambiente è uguale a natura più cultura. Trova tutti concordi. Dire invece che dall’equivalenza suddetta si ricava che la cultura con la natura sta come cavolo a merenda trova molti umanisti discordi poiché non riconoscono che solo la matematica ha la chiave di lettura non della natura terrestre soltanto, ma dell’universo. Ecco già aprirsi al dominio della cultura sulla natura, da alcuni secoli almeno, significa essere aggiornati culturalmentem, viceversa potremmo incorrere nell’errore di incensare aria fritta! L’ambiente, inteso come insieme di natura e cultura, se osservato con occhi aperti all’innovazione e non solo alla tradizione può farci scoprire nuove e insolite realtà. Ad esempio si scoprono piccoli e grandi paesaggi dove l’Uomo ha storicamente segnato o plasmato il territorio naturale, La propria presenza è stata diversamente attiva ed interattiva dagli altri animali (più prossimi come parentado, i mammiferi placentati). Dalla fine del XVIII sec. lo svedese naturalista, C. Linneo, classificò l’Uomo nella specie Homo sapiens. Nel secolo successivo un altro naturalista, ma inglese, C. Darwin, oltre a delineare l’evoluzione della specie per selezione naturale, delineò pure l’origine dell’Uomo. Ma non è questa la sede per perderci in minuzie pro e contro la visione tradizionale o nuova sull’uomo e sul suo divenire nel tempo, interessante è quello degli ultimi 36 mila anni. Vorrei, invece, soffermarmi un po’ in uno degli aspetti che il festival dell’identità in corso a Piedimonte Matese con la partecipazione di non pochi professori universitari campani.  Intorno e dentro il paesaggio gardesano c’è non poco d’identitario non solo degli indigeni, ma di chiunque ama conoscere il proprio ambiente planetario che è un insieme di tanti ambienti locali come quello ai piedi del Matese meridionale,  a Piedimonte Matese. Cittadina originatasi d’Alife dopo le incursioni saracene di circa 12 secoli fa. Il festival è stato pensato da chi? Forse da qualche docente in politica comunale dell’attuale maggioranza? In ogni caso, manca al festival, a mio giudizio, il respiro sia locale che globale, ma abbonda di relazioni di cattedratici delle università solo compane, a parte Ferrara con il relatore d’origine piedimontese. Piedimonte non è solo costituito dai pochi personaggi locali, i più rampolli di famiglie non popolari, senza una realistica visione interclassista per averla sperimentata o vissuta, che è anche più utile al giovane in formazione come i molti studenti che frequentano le scuole piedimontesi di tutti i gradi comprese le università non solo campane o del basso Lazio. Il 7 giugno 2021, tra i miei articoli, ricordo di aver dissertato sull’”Ambiente rinascimentale nel territorio degli Aragonesi di Napoli e i Corvino con il castello delle Diete di Transilvania”.

 Il rinascimento, che al festival piedimontese appare centrale, fu da me visto in un ambiente un po’ più vasto nell’articolo citato. La nobile napoletana Beatrice d’Aragona fu regina d’Ungheria poichè figlia di Ferdinando I, re di Napoli, fu data in sposa, nel 1475, a Mattia Corvino re d’Ungheria. La sua Incoronazione avvenne nella Chiesa dell’Incoronata, per mano dell’Arcivescovo di Napoli. Durante il suo regno fu mecenate di artisti e letterati italiani che invitò a Budapest ( o meglio a Buda)per favorire la crescita della cultura del Rinascimento anche in Ungheria. Fra le altre iniziative si deve a lei la costituzione della Biblioteca Corviniana nel castello di Visegràd dove venne costituita una delle biblioteche più importanti del suo tempo, con un grandissimo numero di volumi, seconda solo alla collezione del Vaticano. Della biblioteca dei Corvino a Hunedoara non mancano riferimenti importanti, mentre in quella vaticana bisogna andare per scoprire non poci segreti rinascimentali tra Italia e Romania. Durante la stesura del mio recente saggio “Canale di Pace”, stimolato anche dall’aver dovuto insegnare, oltre che le Scienze Naturali, pure Cultura e Civiltà Italia in Transilvania, ho aperto meglio gli occhi sull’arte, che risentiva spesso dell’influsso artistico rinascimentale italiano. Ma quanto dura il Rinascimento, periodo rigoglioso di tutte le arti? Perché il Rinascimento mise a centro l’uomo? Non scordiamo, per non perderci nelle filosofie abiologiche, che apparteniamo alla specie biologica Homo sapiens, come ci precisò a fine 1700 il padre della classificazione binomiale e Naturalista svedese C. Linneo? Il Rinascimento, iniziato nel XV sec. è durato oltre 2 secoli, fu un periodo artistico, letterario, scientifico e filosofico di grande sviluppo del cittadino con i suoi diritti universali. Il termine Rinascimento è del 1800, ma fa riferimento al concetto, già espresso dal trattatista del 1500 Giorgio Vasari, di “rinascita delle arti”, rifiorite dopo la decadenza culturale del Medioevo. Il Rinascimento esordì nel 1401 (anno del concorso per la seconda porta del Battistero di Firenze) e si concluse nel 1595 (quando il pittore Caravaggio si trasferì a Roma). È diviso in primo Rinascimento (ossia il Quattrocento) e secondo Rinascimento (che coincide con il Cinquecento), chiamato anche Rinascimento maturo. Sulle ceneri plurimillenarie di Roma d’Occidente e d’Oriente nasce l’ambiente artistico, letterario ed ingegneristico del Rinascimento. Quasi a dimostrazione di ciò sta la ricerca dell’Uomo perfetto. Alberti e Piero della Francesca affrontarono anche la delicata questione delle proporzioni. Durante l’età classica, gli artisti avevano applicato alla scultura e all’architettura proporzioni che prevedevano la scelta di precisi rapporti matematici. Essi tentarono di riproporle, allo scopo di ricreare l’immagine dell’uomo perfetto e di costruire edifici armoniosi. Il modello dei pittori e degli scultori rinascimentali fu il cosiddetto “uomo vitruviano”. Vitruvio, architetto romano del I secolo a. C., nel suo trattato De Architettura aveva affermato che l’uomo perfetto può essere contenuto, in piedi e con le braccia aperte dentro un cerchio ed un quadrato. Nel 1490, il pittore Leonardo da Vinci ne propose una famosa interpretazione grafica. Aspetti rinascimentali lasciarono il segno nel bagaglio culturale dei giovani liceali di Deva-Hunedoara e dintorni dove svolsi servizio. Nel periodo del Rinascimento riaffiora la capacità dell’Uomo di scrutare oltre la cappa dominante culturale del proprio tempo medievale, spesso oscurantista. Riesce così a riappropriarsi della visione precristiana precedente all’imperatore romano Costantino. Riprende le arti classiche e le adatta ponendo l’Uomo al centro e non più le divinità politeiste romane e greche. Fa, infine, la mediazione di raffigurare non pochi santi, angeli e madonne che onorano il monoteismo con Cristo, figlio del Dio. Cristo divenne semi divino e semi-uomo come in altre religioni e miti del passato. Promise il paradiso “dantesco” a chi perseguiva le virtù cattoliche e puniva, con somma giustizia, chi non perseguiva i precetti e le virtù cattoliche. Nei primi mesi del 2004, quando iniziai ad insegnare a liceo “Transilvania” di Deva, in Romania, per il Maeci (Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale) un vetusto collega romeno, G. Hasa, autore di molti saggi di epica storica dei Daci, mi appellava “spion al papei de la Roma”! (Spione del papa di Roma). Molti dei miei colleghi romeni a Deva/Hunedoara, sono raffigurati nella foto che segue. Ai colleghi liceali Sorin, Heredea, Pitar, Sintoma, ecc. chiesi di questo strano modo di rapportarsi a me di G. Hasa e mi spiegarono che l’interlocutore si rifaceva ad un fatto storico del XV sec. accaduto a 19 Km da noi, nel castello principesco del nobile Mattia Corvino. Là, nel castello di Hunedoara, era giunto, inviato dal papa per preparare una crociata, Giovanni da Capestrano, uomo colto e plurilinguista, che abitava in una celletta sommitale dell’orrido castello dei nobili magiari e dunque cattolici Corvino. In una apposita cappella, oggi ammirata dai molti turisti che visitano il più grande castello gotico romeno, il francescano, spia del papa, celebrava la messa per la famiglia dei Corvino, castellani nobili cattolici e magiari imparentati con il re di Napoli d’Aragona. Si chiamava Giovanni da Capestrano noto religioso dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti. Figlio di un barone tedesco e di una dama abruzzese, fu un sacerdote del quale si ricorda l’intensa attività evangelizzatrice nella prima metà del XV sec. Nel 1456 fu incaricato dal Papa, insieme ad alcuni altri frati, di predicare la Crociata contro gli invasori ottomani. Percorrendo l’Europa orientale, il Capestrano riuscì a raccogliere decine di migliaia di volontari, alla cui testa partecipò, con Giovanni Hunyadi all’assedio di Belgrado. Egli incitò i suoi uomini all’assalto decisivo con le parole di san Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento». Continuò a lottare per mesi ma il 23 ottobre egli morì a Ilok, in Slavonia, oggi Croazia orientale. . Nel 1454-55 Hunyadi imprigionò il giovane e poi famoso Vampiro, Vlad III, per un anno a Hunedoara nel castello, che è il più grande castello gotico dell’attuale Romania, dove si svolgono concerti, spettacoli e si creano filmati. Una volta ho assistito con l’artista del teatro di Deva, Isabella, nipote del mio collega Grigor Hasa, ad un concerto nel salone delle Diete di Transilvania. Prima vi ero andato con alcuni colleghi romeni e italiani ed appreso anche un po’ di leggendario o mitico: a mezzanotte Dracula si trasforma in corvo nero (simbolo dei nobili Corvino) e scende dal camino della celletta del monaco, che spiava i nobili locali per riferire poi al Papa. Nel castello si narra anche che il pozzo dell’acqua fu fatto scavare da prigionieri turchi, di Mattia Corvino, poi da questi uccisi senza mantenere la promessa di liberarli se avessero trovato l’acqua. La maledizione dei prigionieri uccisi fu da loro scritta sul muro del pozzo, che tutti i turisti leggono. Analoga leggenda la raccontano alla fortezza medievale, ora museata per i turisti, vicino a Brasov. Il castello di Hunedoara però merita di essere inserito tra gli itinerari turistici draculiani perché vi dimorò per un anno il giovane e futuro principe Vlad III. Vlad III morì oppure fu imprigionato dai turchi e liberato poi dopo aver pagato il suo riscatto dalla ricca figlia Maria? Sulla Romania con il mito di Dracula ho pubblicato un saggio con leolibri.it. La storiografia del recente passato accreditava ‘ipotesi che Vlad III morì nel 1476, oppure nel mese di dicembre 1478 e inizio 1949. La più recente storiografia sostiene l’ipotesi che Vlad II fu imprigionato dai turchi, che lo riconobbero in battaglia, e successivamente la figlia Maria, adottata dalla potente famiglia del despota serbo-albanese Scanderberg –la adottò la sorella della moglie e la condusse dagli Aragonesi a Napoli- e si maritò a Napoli con il conte G. A. Ferrillo) illustre famiglia parente del re di Napoli Alfonso d’Aragona. Il 20/11/2019 scrissi un articolo su questo media dedicato al mito di Dracula e precisai che le leggende e le favole affondano le radici nella lontana preistoria e protostoria dell’Homo sapiens. Oggi come allora sono un mondo magico e irrazionale. Com’è magico il mondo non solo dei bambini, e della fantasia anche degli adulti, dove donne, uomini, piante, animali parlano, fate e maghi, gnomi e funghi, il Sole e la Luna, pentole magiche, tutti eventi prodigiosi, che spesso vanno a finire nell’orrido e nel draculiano. Dunque tra gli Aragonesi e il loro ambiente napoletano e la Romania c’è molto da approfondire per capire meglio sia il primo che il secondo vasto ambiente con le loro arti rinascimentali. Durante le Diete di Transilvania che si tenevano nell’ampio salone del castello di Hunedoara, tramite una finestrella, il sacrato cattolico apostolico romano che poi divenne santo (1690), riusciva a vedere ed udire le discussioni e i deliberati delle Diete, e, tramite piccioni viaggiatori, informava il Vaticano a Roma. Prima di entrare dal ponte levatoio nel castello di Hunedoara c’è una cappellina esterna con dentro la statuetta di Giovanni da Capestrano. Rimando il lettore al libro che tratta della storia che si dipana tra l’Italia e l’Europa a partire dalla fine del Quattrocento sino al 1690 analizzando i più importanti aspetti di “geografia iconografica” legati alle immagini del predicatore osservante Giovanni da Capestrano (1386-1456). Intorno al 1460 la pittura figurativa napoletana mostra i primi aggiornamenti sul linguaggio prospettico fondato sul nesso forma-luce-colore di Piero della Francesca a cui aderisce il Maestro del San Giovanni da Capestrano nel Sant’Antonio della chiesa napoletana di santa Maria alle Croci situata a nord di via Foria vicino all’Orto Botanico, frequentati da me anni fa. Nel XIV sec., quando i re discendenti dalla dinastia napoletana degli Angioini sedevano sul trono ungherese, l’influenza italiana si diffuse in Ungheria e, di conseguenza, in Transilvania. La corrente dello stile italiano del trecento influì fortemente sulla pittura a fresco in Transilvania. Gli affreschi del santuario della chiesa di Magyar-fenes seguono i tipi e le composizioni dell’arte italiana; la Crocifissione fu dipinta da una pittura trecentesca, la copia della quale, eseguita nel XV sec. si trova a Padova, Museo Civico. La simpatia dei Mecenati ungheresi presto si rivolse all’arte italiana del rinascimento. Fra i primi battistrada della cultura italiana troviamo Giovanni Hunyadi, reggente del regno, voivoda di Transilvania e Giovanni Vitéz, dotto vescovo di Várad. Presso la sede vescovile di Gyulafehérvár il rappresentante più importante della nuova generazione era Francesco Várday, educato alle università di Padova, Bologna e Roma, e che aveva passato anche lungo tempo nei centri del rinascimento ungherese. Dal secondo matrimonio, con Beatrice d’Aragona, celebrato nel 1475, non nacquero figli: Mattia Corvino pensò allora di affidare il trono al figlio illegittimo Giovanni Corvino contro il volere della moglie. La morte improvvisa del re lasciò la corte senza indicazioni precise e la situazione venne facilmente risolta dalla moglie che indicò come successore Ladislao Jagellone con il quale contrasse un matrimonio segreto. Dopo l’ascesa al trono però il matrimonio venne annullato per un vizio di forma e Beatrice fu costretta a rientrare a Napoli, mentre Giovanni venne nominato governatore della Bosnia. Mattia Corvino è considerato eroe nazionale ungherese, una sua statua è stata posta nel colonnato della Piazza degli Eroi a Budapest. La chiesa di Nostra Signora Assunta della Collina del Castello a Buda viene comunemente chiamata Chiesa di Mattia per il fatto che vi si sono celebrati i suoi due matrimoni. Una monumentale statua equestre del re è stata eretta nella sua città nativa nel 1902. C’è anche un suo ritratto in bronzo all’interno del castello di Buda. La sua effigie compare sulla banconota da 1.000 fiorini ungheresi. Se l’ambiente dei nobili è stato delineato da molti storici non altrettanto è stato fatto per gli umili o sudditi. Si riporta una foto di pastori appenninici del 1924 in transumanza da Letino a Marcianise. Da poco tempo ho appreso che un figlio del principe Mattia Corvino, Stanislao, avuto fuori dei due matrimoni, fu esiliato dal padre insieme, a suoi amici che congiuravano, a Casal di Principe, nei territori del suocero Fernando I d’Aragona, re di Napoli. Nel mio saggio “Canale di Pace”, in corso di stampa, delineo l’evoluzione del cittadino dal precedente suddito: dapprima schiavo, poi- con il Medievo- servo della gleba ed infine abitante del borgo o borghese attorno ai castelli dei nobili. Dai nobili e dai borghesi ebbero origine i cittadini, che in gran parte erano i figli delle arti liberali: commercianti, artigiani, notai, avvocati, ingegneri, professori, ecc.. Questi avevano frequentato le scuole, come e più dei nobili, e si elevarono dal popolo, generalmente analfabeta detto anche volgo composto, secondo lo scrittore Ignazio Silone, da “cafoni”. Con il Rinascimento, l’evoluzione verso il cittadino, ha avuto un notevole impulso perché è stato posto al centro l’uomo e la rinascita dell’individualità, oscurata da culture religiose e stataliste prima del XV sec.. Ciò promosse l’artista del Rinascimento, che ebbe come baricentro ambientale Firenze con la Signoria dei Medici, di cui Lorenzo fu detto “Magnifico” perché esemplare e grande mecenate di artisti. Il mecenatismo costituì un elemento caratteristico delle nuove corti del 1400: con la promozione delle arti e il sostegno anche economico agli artisti, i signori intendevano esaltare la propria dinastia e dare lustro al proprio governo. La frase pronunciata dal Duca di Milano, è emblematica: ”Leonardo, lavora per me che la tua opera artistica crescerà con la mia dinastia”, gli disse Ludovico il Moro prima della creazione leonardesca dell’opera nel refettorio del monastero affianco alla chiesetta di Santa Maria delle Grazie. In effetti l’”Ultima Cena” di Leonardo a Milano, datata 1495-98, è un’opera che attira visitatori sia laici che religiosi da ogni dove. Nel 1500 a Padova, invece, Leonardo dissezionava i cadaveri come pioniere della Fisiologia Umana, mentre tutte le lezioni venivano sospese per rispetto sacrale. Ancora oggi nei musei vaticani, sotto la Cattedrale di San Pietro, è proibito fotografare scheletri umani per rispetto della sacralità dell’Uomo, fratello di Cristo e figlio di Dio. L’Ambiente religioso in tutti gli ambienti planetari è stato sempre incubatore di artisti e di arte, tutti i templi e chiese sono ricche di oggetti sacri ed opere pittoriche e scultore artistiche di valore. I ministro di culto del cristianesimo, con la variante ortodossa dell’Europa dell’Est, apprezzano molto l’arte come il colto Theodor Damian che dirige, tra l’altro, a New York, la rivista romena”Lumina lina” (Luce sottile). Nell’ambiente culturale del Rinascimento vissero ed operarono grandi artisti italiani e stranieri. In Italia erano figli e artefici del Rinascimento: Alberti, Bellini, Botticelli, Brunelleschi, Caravaggio, Donatello, Giotto, Leonardo, Mantegna, Masaccio, Michelangelo, Pier della Francesca, Raffaello, Tiziano, ecc.. In Romania si ricorda, tra i tanti artisti, un nipote del Rinascimento, Nicolae Grigorescu, che immortalò la sua arte nei monasteri della Bucovina fatti edificare nel 1400 da Stefan III il Grande. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente del 476 d. C. si andarono formando intorno ai castelli e fortezze medievali i borghi, abitati dai borghesi, alcuni vivevano delle arti liberali (medici, notai, ingegneri, artigiani, commercianti, ecc.). Pian piano, soprattutto in cima a delle colline, per motivi di sicurezza, si formarono i Comuni con una certa autonomia dall’imperatore di turno come Federico II, ecc.. La Governance comunale mutò lentamente in Signorie. Queste, come in precedenza i Comuni, erano, più o meno servili al papato (Guelfi) o all’imperatore (Ghibellini). Roma Caput Mundi, invece, assicurava dentro i vasti confini imperiali un’unica amministrazione della res publica e una buona sicurezza per il buon controllo territoriale. Gli schiavi erano in gran parte prigionieri di guerra, mentre nel Medievo erano i servi della gleba, l’ultimo ceto sociale dopo i nobili vassalli, valvassini a valvassori. Tra il XIV e il XV sec.. In Italia prevalsero cinque Stati di grande importanza: Firenze (che formalmente mantenne gli ordinamenti repubblicani e comunali), il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia (governata da una oligarchia mercantile), lo Stato della Chiesa (con Roma sede della Curia papale) e il regno di Napoli a Sud: governato dai Borboni, nobili spagnoli. A Firenze, nel 1434, il potere si concentrò nelle mani della famiglia Medici. Cosimo dei Medici, detto il Vecchio, ricchissimo banchiere e commerciante, divenne, di fatto, il padrone incontrastato della città. Anche negli altri piccoli Stati italiani, come il Ducato di Savoia, la Repubblica di Genova, il Ducato di Urbino, le Signorie di Mantova, Ferrara, Modena e Reggio, le sorti si legarono ai nomi di alcune grandi famiglie. In realtà si ripeteva, sia pure modificato ed adattato al nuovo ambiente economico e sociale, aspetti dell’antica Roma con la classe dirigente dei Consoli, distinti in populares e optimates o aristocratici. In particolare nell’ultimo sec. dell’antica Roma repubblicana, anche il popolo romano si divise tra due tendenze ideali rappresentate dai loro consoli che eleggevano (solo se cittadini romani, senza il voto dei poveri, degli ignoranti e delle donne): populares e optimates. Studiando l’ambiente sociale e politico attuale dell’Europa e non solo, sembra quasi di scorgere, tra le ceneri storiche, ancora l’ambiente sociale e politico di allora. I circa 200 stati attuali nel mondo sono governati da Monarchie costituzionali (come la Gran Bretagna) e soprattutto da Repubbliche parlamentari (come l’Italia e la Germania) e presidenziali come gli Usa, la Francia e similmente alla Francia anche la Romania. In tutte queste forme di governo della res publica vi sono i partiti che, per i loro programmi elettorali, si rifanno, in gran parte, ai Populares o agli Optimates. In futuro, in un unico stato globale democratico federato degli attuali stati come saranno le tendenze politiche, artistiche, religiose, economiche, ecc.? In “Canale di Pace”, mi limito solo a non scrivere l’irrealizzabile, ma prefiguro, in un futuro prossimo, il primato del cittadino (colto, tollerante e dominante più saperi sia delle scienze naturali che umane), che non sia più suddito della burocrazia che ogni stato ha. Il cittadino globale applicherà la scienza con il principio di precauzione e con la responsabilità di specie, ma è aperto all’universo da scoprire meglio con la lanterna, anche di lumina lina come si dice in romeno. Egli non ubbidirà ma condividerà le scelte della Governance, federale e locale, in una nuovo ambiente trasparente nelle decisioni collettive non sul e del popolo amorfo e fatto di novelli sudditi o ex ”cafoni” come li definiva lo scrittore di Sulmona, I. Silone, conterraneo di Ovidio e Giovanni da Capestrano, entrambi emblematici conoscitori dell’Italia e della Romania.

 Di Piedimonte Matese ho scritto e pubblicato un libro per assecondare alcuni piedimontesi, anche con esperienza di consiglieri provinciali, che volevano che qualcuno scrivesse dell’aspirazione del Sannio Alifano di far parte del Sannio e non della Campania costiera tanto diversa d’identità. Negli ultimo decenni a Piedimonte Matese, si respira aria politica napoletana senza più personalità di rilievo che tengano testa al vassallaggio dei boss della politica partenopea, che non sempre sono ben distinti e distanti dalla malavita organizzata tanto evidenziata da filosofo e scrittore R. Saviano. L’identità non si delinea nelle aule universitarie soltanto, ma pure in altri luoghi del sapere, che il sistema digitale ha rivoluzionato offrendo più opportunità al cittadino di scegliere e sbagliare meno del passato più povero di segni del paesaggio per tutti e non solo dei ricchi.

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