PIEDIMONTE MATESE. Dal nobile Corvino e al prossimo voto di Piedimonte Matese passando per il “Canale di Pace”.

“Molti professionisti piedimontesi, troppi restano alla finestra a guardare e pochissimi si mettono in gioco e ci mettono la faccia per cambiare in meglio”.

di Giuseppe Pace (già prof. del Liceo ”Transilvania”.

Tra i cognomi italiani, il cognome Corvino ha in Campania 546 su 1.147 famiglie in Italia e solo 3 in Molise. Il cognome Corvino è una variante del cognome Corvo, uno dei cognomen più frequenti tra la gens Valeria. Secondo qualcuno, le famiglie Corvino o Corvini discendono dal ramo dei Valeri Poplicola, mentre i Corvo o Corvi discenderebbero dal ramo dei Valeri Massimi. In Transilvania c’è un castello gotico-rinascimentale dei nobili Corvino. Il loro stemma araldico è un anello nel becco di un corvo nero, la cui leggenda narra di un bambino abbandonato e poi ritrovato da un corvo. La leggenda mi fu narrata, la prima volta,  da due chimici e dirigenti il liceo Transilvania, dove andai ad insegnare nel 2003/04. Da noi i dirigenti liceali sono quasi tutti umanisti, all’estero sono molti di più quelli delle scienze reali che da noi si chiamano naturali. Dico ciò perché chi mi narrò quella leggenda mi induce a pensare che quel bambino abbandonato potrebbe essere Stanislao Corvino, che fu esiliato nel XV sec. nel regno di Napoli e abitò a “Casal di Principe” conferendogli il toponimo? Che spettacolare e suggestivo era il salone delle Diete di Transilvania e che bei ricordi mi suscitano anche i miei colleghi ed altri romeni in posa ricordo sotto al castello di Deva del 2006, dov’era la mia sede di servizio romeno 2003/04-2007/08. Il castello a 19 km da Deva dominava la città di Hunedoara con molti altiforni ed operai metalmeccanici, che frequentavo con lo scrittore Valeriu Bargàu in quanto iscritto alla sua associazione di scrittori judetiani, che ora dirige la colta vedova Mariana Pandàru con la collaboratrice di Hunedoara, Ing. del combinato siderurgico locale, Victoria Stolojan ed altri come Dumitru Huruba, Dumitru Talvescu, Paolina Popa, Denise Toma, +Grigor Hasa, Miron Tic, ecc.. Tra i miei colleghi liceali, una era d’origine Magiara, Holga Heredea (che spesso appellavo come ”nipote di Attila”), che con il marito Dan mi invitavano a Pasqua, cattolica, a festeggiare a casa loro con la mamma: Maestra dei molti Magiari di Deva. Una volta mi invitarono a visitare il liceo Magiaro di Deva dove conobbi l’Onorevole europeo Vinkler, pure Magiaro. Nel 1977 Deva registrava 60.334 di cui 7.598 Magiari (sono gli ungheresi di lingua, di religione cattolica e più di qualche tradizione diversa dai romeni) pari al 12,6%; nel 2007 l’anagrafe di Deva registrava 67.508  residenti di cui 5325 Magiari pari al 7,9%. Nell’ordinare i libri per la biblioteca del Liceo Transilvania, dove c’è anche il mio “Italia e Romania” Sapere Edizioni 2009, chiesi ed ottenni, dal nostro Ministero A. Esteri, anche un vocabolario Italiano Ungherese. Ciò per permettere ai colleghi e discenti Magiari d’origine di iniziare a imparare anche la lingua ungherese, che una suora a Deva, che aveva studiato a Firenze, mi disse: “E’ più facile andare in paradiso che imparare l’ungherese”! Perchè le chiesi? Perchè ci vuole un’eternità! In questa sede, mi gratifica annotare che riscontro nell’ambiente campano, ed in particolare della provincia di Caserta, molti cognomi Corvino. Perché? Un’ipotesi è l’arrivo del figlio, avuto fuori dai 2 matrimoni, di Mattia Corvino, principe di Transilvania e poi re d’Ungheria, nobile Magiaro, con il castello gotico-rinascimentale del XV sec., a  Hunedoara. Stanislao era il suo nome, e, la colta “matrigna”, Beatrice d’Aragona, figlia del re di Napoli, suggerì al marito Mattia Corvino, di esiliarlo nel regno del padre a Napoli. Sigismondo “Corvino?” aveva congiurato con degli amici contro il padre per spodestarlo dal trono d’Ungheria. Alfonso d’Aragona, re di Napoli lo accolse e lo invio a Casal di Principe, da cui il nome della cittadina che oggi registra più di 21mila casalesi, tristemente famosi anche per una stampa che si accanisce ad evidenziare gli aspetti negativi ambientali-sociali e non anche positivi come ha qualunque ambiente, stando agli indicatori Istat dell’Italia. Tra i Corvino casalesi e quelli romeno-ungheresi dunque c’è non poco di analogie e relazioni rinascimentali. Perché non promuovere, almeno tra scuole di entrambe le città dei gemellaggi culturali. Nel passato di Casal di Principe ed in particolare nel XV sec. vi era una realtà ambientale sociale dominata dai nobili Aragonesi con Beatrice, moglie di Mattia Corvino. Ferdinando d’Aragona, del ramo di Napoli, universalmente noto col nome di Ferrante I detto anche Don Ferrando e Don Ferrante, era l’unico figlio maschio, illegittimo, di Alfonso I di Napoli e regnò nella seconda parte del 1400. Ferrante fu un re molto influente in Europa del XV sec. perché fu anche un’importante figura del Rinascimento italiano. Nei suoi 20 anni di regno portò pace e prosperità a Napoli. Emanò varie leggi di stampo sociale che di fatto minavano lo strapotere dei Baroni, favorendo i piccoli artigiani e contadini. Quest’opera di modernizzazione e la resistenza che oppose contro di loro portarono allo scoppio della famosa rivolta dei baroni, che venne soffocata nel sangue al Maschi Angioino, dove oggi nel salone dei baroni si riuniscono i membri della Governance campana. Alfonso d’Aragona, detto il re magnanimo, fu un uomo che amò l’arte e la cultura e grazie al suo mecenatismo, ed alle innovazioni architettoniche della città, la sua corte diventa un importante centro del Rinascimento italiano, proiettando Napoli sul fronte della rivoluzione culturale del periodo. Nella prima metà del XV secolo, a Napoli e nel resto del Regno l’arte rinascimentale, nell’accezione legata alle influenze toscane, si ritrova in alcuni esempi illustrissimi come il monumenti funebri in Sant’Angelo a Nilo di Donatello, ecc. Dominarono la scena artistica essenzialmente le influenze franco-fiamminghe, legate a rotte politiche e, in parte, commerciali. Meno nota, invece, è la rotta rinascimentale tra Napoli e Romania più specificamente la sua parte dominata dai Magiari o ungheresi, la Transilvania, con i nobili Corvino. Se si potesse porre in un triangolo ambientale con ai vertici Beatrice d’Aragona, il padre re di Napoli ed il genero, Mattia Corvino, avremmo più chiare molte delle vicende storiche e rinascimentali di un pezzo d’Europa. La nobile napoletana Beatrice d’Aragona, 1457-1508, fu regina d’Ungheria dal 1475 al 1490. Figlia di Ferdinando I, re di Napoli, fu data in sposa, nel 1475, a Mattia Corvino re d‘Ungheria. La sua Incoronazione avvenne nella Chiesa dell’Incoronata, per mano dell’Arcivescovo di Napoli. Durante il suo regno fu mecenate di artisti e letterati italiani che invitò a Budapest ( o meglio a Buda)per favorire la crescita della cultura del Rinascimento anche in Ungheria. Fra le altre iniziative si deve a lei la costituzione della Biblioteca Corviniana nel castello di Visegràd dove venne costituita una delle biblioteche più importanti del suo tempo, con un grandissimo numero di volumi, seconda solo alla collezione del Vaticano. Della biblioteca dei Corvino a Hunedoara non mancano riferimenti importanti, mentre in quella vaticana bisogna andare per scoprire non pochi segreti rinascimentali tra Italia e Romania ed anche forse la storia personale del giovane Sigismondo Corvino? Quando iniziai ad insegnare a liceo “Transilvania” di Deva, in Romania, per il Maeci (Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale) un vetusto collega romeno, G. Hasa, autore di molti saggi di epica storica dei Daci, mi appellava “spion al papei de la Roma”! (Spione del papa di Roma). Molti dei miei colleghi romeni a Deva/Hunedoara, sono raffigurati nella foto che segue. Ai colleghi liceali Sorin, Heredea, Pitar, Sintoma, ecc. chiesi di questo strano modo di rapportarsi a me di G. Hasa e mi spiegarono che l’interlocutore si rifaceva ad un fatto storico del XV sec. accaduto a 19 Km da noi, nel castello principesco del nobile Mattia Corvino. Là, nel castello di Hunedoara, era giunto, inviato dal papa per preparare una crociata, Giovanni da Capestrano, uomo colto e plurilinguista, che abitava in una celletta sommitale dell’orrido castello dei nobili magiari e dunque cattolici Corvino. In una apposita cappella, oggi ammirata dai molti turisti che visitano il più grande castello gotico romeno, il francescano, spia del papa, celebrava la messa per la famiglia dei Corvino, castellani nobili cattolici e magiari imparentati con il re di Napoli d’Aragona. Si chiamava Giovanni da Capestrano (Capestrano, Italia 1386 Croazia 1456) noto religioso dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti. Figlio di un barone tedesco e di una dama abruzzese (ignoto è il casato della madre ricondotto alla famiglia Amico, appartenente alla piccola nobiltà locale), fu un sacerdote del quale si ricorda l’intensa attività evangelizzatrice nella prima metà del XV sec. Nel 1456 fu incaricato dal Papa, insieme ad alcuni altri frati, di predicare la Crociata contro gli invasori ottomani. Percorrendo l’Europa orientale, il Capestrano riuscì a raccogliere decine di migliaia di volontari, alla cui testa partecipò, con Giovanni Hunyadi all’assedio di Belgrado. Egli incitò i suoi uomini all’assalto decisivo con le parole di san Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento». Continuò a lottare per mesi ma il 23 ottobre egli morì a Ilok, in Slavonia, oggi Croazia orientale. Nel 1454-55 Hunyadi imprigionò il giovane e poi famoso Vampiro, Vlad III, per un anno a Hunedoara nel castello, che è il più grande castello gotico dell’attuale Romania, dove si svolgono concerti, spettacoli e si creano filmati. Una volta ho assistito con l’artista del teatro di Deva, Isabella, nipote del mio collega Grigor Hasa, ad un concerto nel salone delle Diete di Transilvania. Prima vi ero andato con alcuni colleghi romeni e italiani ed appreso anche un po’ di leggendario o mitico: a mezzanotte Dracula si trasforma in corvo nero (simbolo dei nobili Corvino) e scende dal camino della celletta del monaco, che spiava i nobili locali per riferire poi al Papa. Nel castello si narra anche che il pozzo dell’acqua fu fatto scavare da prigionieri turchi, di Mattia Corvino, poi da questi uccisi senza mantenere la promessa di liberarli se avessero trovato l’acqua. La maledizione dei prigionieri uccisi fu da loro scritta sul muro del pozzo, che tutti i turisti leggono. Analoga leggenda la raccontano alla fortezza medievale, ora museata per i turisti, vicino a Brasov. Il castello di Hunedoara però merita di essere inserito tra gli itinerari turistici draculiani perché vi dimorò per un anno il giovane e futuro principe Vlad III. Vlad III morì oppure fu imprigionato dai turchi e liberato poi dopo aver pagato il suo riscatto dalla ricca figlia Maria? Sulla Romania con il mito di Dracula ho pubblicato un saggio con leolibri.it. La storiografia del recente passato accreditava ‘ipotesi che Vlad III  morì nel 1476, oppure nel mese di dicembre 1478 e inizio 1949. La più recente storiografia sostiene l’ipotesi che Vlad II fu imprigionato dai turchi, che lo riconobbero in battaglia, e successivamente la figlia Maria, adottata dalla potente famiglia del despota serbo-albanese Scanderberg –la adottò la sorella della moglie e la condusse dagli Aragonesi a Napoli- e si maritò a Napoli con il conte G. A. Ferillo). Maria Balsa, cognome impostole dai genitori adottivi, nipote della moglie del despota cattolico dell’ordine del Dragone Scanderberg, prese marito in Giacomo Alfonso Ferillo, conte con feudo lucano e sontuosa casa e mecenate della chiesa di Santa Maria la Nova a Napoli. Il corpo del principe Vlad III detto Dracula è nella tomba dell’illustre famiglia Ferillo, parenti del re di Napoli Alfonso d’Aragona, accanto al re Corradino. Tra gli Aragonesi e il loro ambiente napoletano e quello ungeherese o transilvano-romeno c’è molto da approfondire per capire meglio sia il primo che il secondo vasto ambiente con le loro arti rinascimentali. Mattia Corvino, fece dell’Ungheria un potente stato, dove, con la moglie Beatrice d’Aragona, introdusse la cultura rinascimentale italiana. Questo è dovuto al fatto che il nobile fu iniziato dai Filomati, nella città di Lucca, al neoplatonismo e ai culti misterici ed ebbe modo di frequentare lo spirito culturale del tempo. Intorno al 1460 la pittura figurativa napoletana mostra i primi aggiornamenti sul linguaggio prospettico fondato sul nesso forma-luce-colore di Piero della Francesca a cui aderisce il Maestro del San Giovanni da Capestrano nel Sant’Antonio della chiesa napoletana di santa Maria alle Croci situata a nord di via Foria vicino all’Orto Botanico. Mattia Corvino è considerato eroe nazionale ungherese, una sua statua è stata posta nel colonnato della Piazza degli Eroi a Budapest. La chiesa di Nostra Signora Assunta della Collina del Castello a Buda viene comunemente chiamata Chiesa di Mattia per il fatto che vi si sono celebrati i suoi due matrimoni. Una monumentale statua equestre del re è stata eretta nella sua città nativa nel 1902. C’è anche un suo ritratto in bronzo all’interno del castello di Buda. La sua effigie compare sulla banconota da 1.000 fiorini ungheresi. Se l’ambiente dei nobili è stato delineato da molti storici non altrettanto è stato fatto per gli umili o sudditi. Si riporta una foto di pastori appenninici del 1924 in transumanza da Letino a Marcianise. Da poco tempo ho appreso che un figlio del principe Mattia Corvino, Stanislao, avuto fuori dei due matrimoni, fu esiliato dal padre insieme, a suoi amici che congiuravano, a Casal di Principe, nei territori del suocero Fernando I d’Aragona, re di Napoli.  Nel mio saggio “Canale di Pace”, in corso di stampa, delineo l’evoluzione del cittadino dal precedente suddito: dapprima schiavo, poi- con il Medievo- servo della gleba ed infine abitante del borgo o borghese attorno ai castelli dei nobili. Dai nobili e dai borghesi ebbero origine i cittadini, che in gran parte erano i figli delle arti liberali: commercianti, artigiani, notai, avvocati, ingegneri, professori, ecc.. Questi avevano frequentato le scuole, come e più dei nobili, e si elevarono dal popolo, generalmente analfabeta detto anche volgo e composto, secondo lo scrittore Ignazio Silone, da “cafoni”. Con il Rinascimento, l’evoluzione verso il cittadino, ha avuto un notevole impulso perché è stato posto al centro l’uomo e la rinascita dell’individualità, oscurata da culture religiose e stataliste prima del XV sec.. L’Ambiente religioso in tutti gli ambienti planetari è stato sempre incubatore di artisti e di arte, tutti i templi e chiese sono ricche di oggetti sacri ed opere pittoriche e scultore artistiche di valore. Nell’ambiente culturale del Rinascimento vissero ed operarono grandi artisti italiani e stranieri. In Italia erano figli e artefici del Rinascimento: Alberti, Bellini, Botticelli, Brunelleschi, Caravaggio, Donatello, Giotto, Leonardo, Mantegna, Masaccio, Michelangelo, Pier della Francesca, Raffaello, Tiziano, ecc.. In Romania si ricorda, tra i tanti artisti, un nipote del Rinascimento, Nicolae Grigorescu, che immortalò la sua arte nei monasteri della Bucovina fatti edificare nel 1400 da Stefan III il Grande (in romeno Stefan Cel Mare). Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente del 476 d. C. si andarono formando intorno ai castelli e fortezze medievali i borghi, abitati dai borghesi, alcuni vivevano delle arti liberali (medici, notai, ingegneri, artigiani, commercianti, ecc.). Pian piano, soprattutto in cima a delle colline, per motivi di sicurezza, si formarono i Comuni con una certa autonomia dall’imperatore di turno. La Governance comunale mutò lentamente in Signorie. Queste, come in precedenza i Comuni, erano, più o meno servili al papato (Guelfi) o all’imperatore (Ghibellini). Roma Caput Mundi, invece, assicurava dentro i vasti confini imperiali un’unica amministrazione della res publica e una buona sicurezza per il buon controllo territoriale. Gli schiavi erano in gran parte prigionieri di guerra, mentre nel Medievo erano i servi della gleba, l’ultimo ceto sociale dopo i nobili vassalli, valvassini a valvassori. Tra il XIV e il XV sec.. In Italia prevalsero cinque Stati di grande importanza: Firenze (che formalmente mantenne gli ordinamenti repubblicani e comunali), il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia (governata da una oligarchia mercantile), lo Stato della Chiesa (con Roma sede della Curia papale) e il regno di Napoli a Sud. In particolare nell’antica Roma repubblicana, anche il popolo romano si divise tra due tendenze ideali rappresentate dai loro consoli che eleggevano (solo se cittadini romani, senza il voto dei poveri, degli ignoranti e delle donne): populares e optimates. Studiando l’ambiente sociale e politico attuale dell’Europa e non solo, sembra quasi di scorgere, tra le ceneri storiche, ancora l’ambiente sociale e politico di allora. I circa 200 stati attuali nel mondo sono governati da  Monarchie costituzionali (come la Gran Bretagna) e soprattutto da Repubbliche parlamentari (come l’Italia e la Germania) e presidenziali come gli Usa, la Francia e similmente alla Francia anche la Romania. In tutte queste forme di governo della res publica vi sono i partiti che, per i loro programmi elettorali, si rifanno, in gran parte, ai Populares o agli Optimates. In futuro, in un unico stato globale democratico federato degli attuali stati come saranno le tendenze politiche, artistiche, religiose, economiche, ecc.? In “Canale di Pace”, mi limito solo a non scrivere l’irrealizzabile, ma prefiguro, in un futuro prossimo, il primato del cittadino (colto, tollerante e dominante più saperi sia delle scienze naturali che umane), che non sia più suddito della burocrazia che ogni stato ha. Il cittadino globale applicherà la scienza con il principio di precauzione e con la responsabilità di specie, ma è aperto all’universo da scoprire meglio con la lanterna, anche di lumina lina come si dice in romeno. Egli non ubbidirà ma condividerà le scelte della Governance, federale e locale, in una nuovo ambiente trasparente nelle decisioni collettive non sul e del popolo amorfo e fatto di novelli sudditi o ex ”cafoni” come li definiva lo scrittore di Sulmona (CH), I. Silone, conterraneo di Ovidio e Giovanni da Capestrano, entrambi emblematici conoscitori dell’Italia e della Romania. In “Canale di Pace”, l’ambiente di molti castelli e palazzi europei ed extra viene esaminato (come quelli d’Alife, di Letino, di Piedimonte Matese) per capire l’evoluzione del suddito a cittadino. Ma il lettore deve ancora attendere che sciolga il nodo  dell’editore con il rischio imprenditoriale che pare stia scomparendo. Il cittadino, non il popolo di Piedimonte Matese, in autunno ritorna al voto democratico della Repubblica Italiana del 2021 d.C. sia pure per l’Ente Locale, Comune. Il comune di Piedimonte d’Alife, Matese dal 1970, si prepara per andare a votare dopo un commissariamento causato da pezzi della maggioranza ammaliata dalle sirene dell’opposizione, impaziente di aspettare la scadenza naturale del mandato elettorale dei piedimontesi. Eppure leggendo questo media che annuncia le prossime elezioni amministrative locali, corredato di non poca cronaca in merito, si ha l’impressione che l’ambiente piedimontese non sia cambiato, in meglio, in questi ultimi decenni. Dalla cronaca si evince che il boss x e y della politica regionale e nazionale controlla tutto e tutti a Piedimonte Matese. Ma se fosse così l’ambiente sociale locale, il cittadino piedimontese, dignitoso, non farebbe male a disertare le urne per dare un segnale di distanza da una sorta di “camorra” partitica che stringe in una camicia di forza il cittadino locale. A questi non verrebbe  permesso di scegliere liberamente un suo concittadino senza vincoli eccessivi con Napoli o Roma, ambienti notevolmente diversi da quello matesino, alifano-piedimontese? Già con l’elezione scorsa regionale i campani che disertarono le urne furono moltissimi, anche se quelli che andarono a votare espressero il desiderio dell’uomo solo al comando con il 54% di consensi. E a Piedimonte Matese quanti andranno a votare stavolta se i boss della politica degli ultimi decenni non mollano la regia del politichese per il popolo? Forse la realtà è più varia e non mancano persone che intendono partecipare alla gavernance della res publica locale senza tanti calcoli e vincoli con questo o quel padrino politico! L’elezione comunale dovrebbe concentrasi esculsivamente sui problemi di governante locali e non regionali e nazionali, per quelli ci sono apposite elezioni, invece a Piedimonte e dintorni pare che sia tutta la medesima sceneggiata! Per chi ha scritto un saggio ”Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio”, presentato con il patrocinio del Comune di Piedimonte Matese, rappresentato dall’ultimo primo cittadino (medico, figlio di medico che ho conosciuto per competenza professionale nel curare mia figlia in vacanza a Piedimonte M. anni fa), le prossime elezioni non sono affatto estranee di quanto già indicato in quel lavoro spontaneo, scritto non solo per imprinting verso il luoghi nativi e di prima formazione ma con la testa, non solo con il cuore! A Piedimonte Matese, come altrove negli 8mila comuni italiani, ci vorrebbe un po’ della Repubblica di Platone, ma la nostrana Democrazia è ben lontana da essa sia pure con donne, nullatenenti e analfabeti che votano dal 1946. A sentire alcuni dei miei ex compagni di classe piedimontesi doc, molti non nativi si disinteressano della res publica locale, perciò le cose non vanno bene. A me, invece, che pure mi considero un piedimontese, come un letinese o d’altri comuni, pare che sia l’inverso. A me sembra che dei molti professionisti piedimontesi, troppi restano alla finestra a guardare e pochissimi si mettono in gioco e ci mettono la faccia per cambiare in meglio. A quei pochi che si impegneranno nella res publica, senza aspettarsi agevolazioni, favori ed opportunità personali, bisogna dare fiducia e votare. Gli altri, invece, guardano se vincono i propri boss di riferimento che promettono mare e monti più e meglio di prima, quando il rapporto era più diretto. A Piedimonte Matese il feudo elettorale del passato è duro a morire e si continua a credere che i circa 4mila voti “bloccati” sono ancora disponibili per vecchie operazioni pastorali di guida del gregge popolare, invece molti sono evoluti in cittadini liberi e artefici del proprio ambiente!

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