ALIFE / PIEDIMONTE MATESE. Romeni nel Sannio Alifano e mostra a Roma a 100 anni dalla nascita della Grande Romania.

Le imprese italiane in Romania sono state superate di numero da quelle romene in Italia e, tra poco, anche negli oltre 13 comuni del Sannio Alifano.

di Giuseppe Pace (ex prof. italiano in Romania ed esperto internazionale di Ecologia Umana).

Nei comuni del Sannio Alifano la presenza delle badanti romene (nella foto) è diffusa ed apprezzata dai più come ad Ailano dove ve ne sono 20. Nei 104 comuni casertani, i romeni registrati nel 2015 erano 6.968 circa un migliaio in meno degli ucraini, prima comunità straniera nel territorio provinciale casertano. In Italia la comunità straniera più numerosa è quella romena. Nel 2015 risultavano 3.408.118 i cittadini romeni emigrati: 1 ogni 6 abitanti in patria (17,5%). Nonostante la prolungata crisi economico-occupazionale attraversata dal nostro Paese, all’inizio del 2016 i romeni si confermano come la prima comunità straniera, con 1.151.395 residenti, di cui il 57,2% donne; mentre sono quasi 160mila i figli dei romeni iscritti a scuola (un quinto di tutti gli studenti stranieri in Italia). La comunità romena in Italia rappresenta un terzo di tutti gli emigrati romeni all’estero (33,8%). Il numero dei romeni in Italia è cresciuto di circa 20mila unità rispetto ai 1.131.839 residenti dell’anno precedente, un aumento rilevante se si considera che nello stesso periodo la presenza straniera in Italia è rimasta pressoché stabile. Questa comunità è diffusa sull’intero territorio italiano, con una spiccata prevalenza nel Nord (575.908) e nel Centro (362.755). Roma risulta essere la capitale dei romeni in Italia dal punto di vista quantitativo, mentre Torino lo è quanto all’incidenza sull’intera presenza straniera. Nella sola provincia di Roma (178.701) risiedono nel 2015 più cittadini romeni di quanti non ve ne siano in tutto il Mezzogiorno (145.993). Nella provincia di Torino, invece, dove i romeni residenti sono poco più 100mila (102.077), essi rappresentano la metà della popolazione non italiana (46,0%). Seguono poi importanti province del Settentrione, come quella di Milano (47.564) e, con poco più di 30.000, quelle di Verona e Padova (rispettivamente 30.806 e 30.529). La Romania si conferma anche come la collettività con più occupati in Italia: essa ne conta oltre un quinto tra quelli nati all’estero (21,5% nel 2015, ossia 767.047 lavoratori, secondo gli archivi Inail), mentre, con ben 70.652 casi, ha inciso per circa il 30% sui lavoratori immigrati assunti per la prima volta nel corso del 2015. Più della metà degli occupati romeni svolge un lavoro non adeguato al titolo di studio posseduto, come evidenzia la maggiore concentrazione di questa comunità in lavori meno qualificati, contestualmente al possesso di più elevati titoli di studio. Per loro, i settori prevalenti di inserimento sono i servizi (422.089, pari al 55,0%) e l’industria (163.346, pari al 21,3%), con punte più alte rispettivamente nei comparti dei servizi alla persona e dell’edilizia. In quest’ultimo i romeni rappresentano il 40% degli addetti stranieri. Alla Romania ho dedicato 5 anni della mia attività di docente per il nostro Ministero Affari Esteri e vari articoli nonchè 4 libri di cui 3 con l’edizioni online leolibri.it di Padova. Di quel meraviglioso Paese, che è un’isola linguistica latina in un mare slavo, ricordo molto di positivo e mi dispiace leggere spesso fatti di cronaca poco edificante che alcuni dei suoi moltissimi-1 milione- emigrati in Italia commettono (vedi la recentissima ferocia di 3 ladri romeni a Lanciano), ma è bene sottolineare, per gli untori degli stranieri, che l’Istat li colloca allo 0,8% come indice fisiologico di qualunque comunità di stranieri nei primi anni d’integrazione in un altro ambiente sociale ed economico. La Romania, come l’Italia ricorda i 100 anni della fine della Grande Guerra e la completa unificazione del territorio, strappato al dominio straniero. L’Italia con la vittoria annesse il Trentino Alto Adige, la Venezia Giulia e parte dell’Istria quest’ultima fu poi rilasciata dopo il secondo conflitto mondiale perché perdenti. La Romania, invece, dopo il 1918 annesse tutta la Transilvania con la vittoria sulla vicina Ungheria legata all’Austria. Ricevo spesso inviti e calendari di manifestazioni che le Istituzioni pubbliche romene in Italia fanno. Ultimamente leggo piacevolmente che l’Istituto Culturale Romeno di Bucarest tramite l’Accademia di Romania in Roma e l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, il Museo Nazionale di Storia di Romania di Bucarest, il Museo Centrale del Risorgimento a Roma, il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre e l’Ambasciata di Romania nella Repubblica Italiana. Con testi del prof. Francesco Guida e Cornel Ilie e Media partner: TVRi e Radio Romania, la fine vittoriosa della Grande Guerra viene ricordata a Roma con una degna e colta mostra. Ma vediamone i dettagli. MOSTRA LA GRANDE GUERRA E L’UNIFICAZIONE ROMENA. UN PERCORSO STORICO E VISUALE A 100 ANNI DALLA NASCITA DELLA GRANDE ROMANIA. Martedì, 2 ottobre 2018, ore 17.30, presso le sale monumentali del Museo Centrale del Risorgimento – Complesso del Vittoriano (Via dei Fori Imperiali), l’Accademia di Romania in Roma, in partenariato con l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, il Museo Nazionale di Storia di Romania e il Museo Centrale del Risorgimento a Roma celebra il Centenario della Grane Unione della Romania organizzando la mostra-evento „La Grande Guerra e l’Unificazione romena. Un percorso storico e visuale a 100 anni dalla nascita della Grande Romania”. La mostra potrà essere visitata da martedì a domenica nel intervallo orario 10:00-19:30. La mostra sarà aperta fino al 31 ottobre 2018. Ingresso libero. Inserendosi nella serie di manifestazioni che hanno commemorato a livello europeo 100 anni dalla Grande Guerra ma concentrandosi in particolar modo sul momento della Grande Unità della Romania, questa mostra storico-documentare è parte del messaggio che la nostra generazione ha il dovere di trasmettere alla generazione dei nostri figli: quello del dovere del ricordo. Il ricordo di quelli che sacrificano la propria vita per realizzare i loro ideali nazionali, per difendere la propria patria, la propria terra, ma anche il ricordo della fragilità della pace. D’altronde, la commemorazione dei caduti nelle campagne della Grande Guerra deve riportare alla memoria dei popoli europei e dell’umanità in genere l’effimerità dell’esistenza e la necessità di compiere degli sforzi condivisi per la tutela dei valori umani. L’Unione dei romeni nel 1918 ha rappresentato, per molti contemporanei e storici, la conclusione del progetto politico risorgimentale, definito dalle élites romene alla metà dell’Ottocento. Oltre ad essere un momento dei gioia e di concordia, l’Unione ha avuto le sue valenze augurali, gettando le basi della Romania Moderna. I contemporanei reputavano necessaria una ridefinizione del paese e della nazione, e l’equivalenza tra la Romania Ricongiunta e la Romania Nuova, con struttura territoriale e istituzionale diversa (democratica e integrativa dal punto di vista sociale ed economico) ha rappresentato una costante del discorso pubblico. Inoltre, l’Unione del 1918 ha portato a compimento un progetto tuttora considerato come reperto fondamentale per i romeni di oggi, progetto intorno al quale si organizza la società, nel senso della partecipazione civica, della rievocazione di eventi, personaggi e valori determinanti per il nostro stato. La sua celebrazione coinvolge il dibattito accademico, professionale, del processo di unificazione politica dei romeni, avvenuto sullo sfondo della Prima Guerra Mondiale. E’ una forma di riflessione continua sul nostro divenire storico, ma anche di costruire in modo onesto la narrazione sulla società romena attuale e sulle sue prospettive. Poiché il 1° dicembre 2018 celebriamo 100 anni della Grande Unione noi romeni abbiamo anche il dovere di ricordare ai nostri giovani, nonché ai nostri amici, che lo Stato romeno risultante dalla Grande Unione non fu un dono della storia o la conseguenza di una lotta tra le grandi potenze. L’ideale della Grande Unione fu realizzato con il sacrificio supremo di oltre 800 mila romeni, ma anche con il notevole sforzo diplomatico della generazione di allora. Il percorso complesso dei romeni nella Prima Guerra Mondiale fino alla Grande Unione sarà illustrato e documentato in questa mostra realizzata dagli specialisti del Museo Nazionale di Storia di Romania di Bucarest e dell’Accademia di Romania in Roma. La mostra contiene un itinerario foto-documentario della partecipazione della Romania nella prima conflagrazione mondiale, tra1916-1918,che ha portato all’unificazione del paese, una suggestiva selezione di oggetti storici (bandiere di battaglia; uniformi da campagna della famiglia reale e costumi da cerimonia di alcune delle personalità eminenti del tempo, soldati, diplomatici e intellettuali; decorazioni e brevetti, ecc.) e di repliche delle uniformi dell’Armata Romena, testimonianze di queste „trasformazioni fondamentali della Romania, avvenute un secolo fa, i cui effetti sono visibili fino ad oggi”. A Sibiu, vi è una mostra interessante “Daruri in Epoca de Aur”(Regali in Epoca d’0ro) dedicata ai regali che le Autorità diplomatiche straniere facevano a Nicolae Ceausescu in visita ufficiale. Il dittatore Ceausescu governò la Repubblica Socialista Romena tra il 1965 e il 1989 e la sua morte avvenne per fucilazione, insieme alla moglie, dopo un processo sommario dei rivoltosi, in primis di Timisoara. Resta il meraviglioso Palazzo di Ceausescu a Bucarest (detto anche in romeno Nebun), secondo solo al Pentagono. Anche il comunismo, a differenza dell’Italia, ha attraversato il secolo di Storia della Romania, ma non è passato senza lasciare tracce nell’Ambiente romeno, che seppure molto simile a quello italiano si differenzia per molti aspetti, che ho evidenziato nel mio libro “Italia e Romania. Geografia, Analogie regionali e di Ecologia umana”, Sapere Edizioni, Padova. Tale libro è stato inviato, in omaggio, alla scuola di servizio in Transilvania, all’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest e alla Biblioteca Judetiana “Ovid Densusianu” di Deva (che mi ha invitato alla prossima mostra degli Autori, ma non posso andarvi per precedenti impegni già assunti) oltre che a diversi colleghi romeni e italiani là delocalizzati con le imprese. E’ mancata una presentazione pubblica, che forse si farà con l’Accademia Romena in Italia, magari a Venezia? Nei miei libri ho ricordato che l’ImperatoreTraiano, conquistò la Dacia nel 106 d.C. con la forza di 13 legioni, delle 29 di cui disponeva, e ai fasti del trionfo a Roma seguirono 112 giorni di festa con 10 mila gladiatori in combattimento e 11 mila animali uccisi. Il suo bottino di guerra in Dacia fu di 1.635 tonnellate d’oro e 3.270 tonnellate d’ argento. Resta dunque la considerazione che un punto di vista non romeno degli attuali anniversari storici romeni non può che fare del bene all’osservatore e studioso non provinciale, viceversa vale anche per la storia italiana e di altri popoli nel villaggio sempre più unico e globale. Scrivere di un altro Paese è un bene poiché non si rischia di stravederlo come spesso fa l’innamorato con l’innamorata e viceversa. Tolta la magia dell’amore resta una più serena visione della realtà che si è evoluta in un secolo e quella romena ha fatto passi notevoli tra alti e bassi. Al lettore si ricorda che al 31 dicembre 2017, gli imprenditori stranieri (soci, titolari, amministratori) operanti in Italia – dice la Cgia di Mestre – hanno toccato quota 805.477 (+ 2,5% rispetto al 2016) e l’etnia più numerosa è diventata quella cinese: 80.514 cinesi alla guida di un’azienda, seguiti da 79.391 marocchini, da 77.082 romeni e da 46.974 albanesi. Le imprese italiane in Romania sono state superate di numero da quelle romene in Italia e,tra poco, anche negli oltre 13 comuni del Sannio Alifano

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